Yahoo ci crede ancora

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Dopo anni di crisi sta provando a rilanciarsi puntando sulla nostalgia per gli anni Novanta e sui vantaggi di un’Internet diversa da quella di Meta, X e Google

Da quando lo scorso giugno ha aperto un canale ufficiale su Instagram, l’azienda statunitense di servizi internet Yahoo si è fatta notare per la comunicazione particolarmente ironica, che insiste spesso sui riferimenti agli anni Novanta e sull’estetica di quel periodo. Yahoo, del resto, fu fondata nel 1994 ed è per molti versi una sopravvissuta a diverse crisi: in particolare, la cosiddetta “bolla delle dot-com”, che coinvolse le prime aziende del web tra il 1997 e il 2000. Ma il fattore nostalgia è in realtà parte di un progetto più ampio con il quale Yahoo sta provando a rilanciarsi come alternativa alle grandi aziende tecnologiche, come Meta e X (Twitter), viste con sempre maggiore antipatia da una parte degli utenti.

È anche per questo che l’account alterna meme con grafiche realizzate con WordArt a video autoironici sulla presunta irrilevanza di Yahoo. Il tentativo da parte dell’azienda di risultare simpatica potrebbe essere aiutato da una crisi di immagine che sembra colpire le grandi aziende del settore, sia a causa delle discussioni sugli effetti dei social media sulla salute mentale degli utenti, sia per il recente avvicinamento delle aziende tecnologiche a Donald Trump.

Nonostante la crescita registrata negli ultimi anni, infatti, molte grandi aziende di tecnologia si trovano in una situazione delicata. Google sta cercando di integrare nei suoi servizi l’intelligenza artificiale generativa mentre nuovi concorrenti come OpenAI rischiano di sconvolgere il mercato che finora aveva dominato. X è cambiato profondamente sotto l’influenza del suo proprietario Elon Musk, e anche Meta sembra destinata a prendere una piega simile. Persino Apple, da sempre tra le aziende più sofisticate e di successo del mondo, nell’ultimo anno ha presentato due prodotti – Apple Vision Pro e il servizio Apple Intelligence – che non hanno avuto il risultato sperato.

Yahoo punta in un certo senso a presentarsi come una rassicurante reliquia proveniente da un passato lontano, dove il web è ancora divertimento, scoperta e libertà, mentre allo stesso tempo investe sulle AI generative, come tutte le altre aziende del settore. In particolare, Yahoo vuole usare i modelli linguistici sviluppati da OpenAI e Google stessa per potenziare i suoi servizi: l’obiettivo è di usare i chatbot per rendere la ricerca più conversazionale e naturale, seguendo l’esempio di ChatGPT e Perplexity.

Il cambiamento della società era iniziato nel 2024, quando aveva rilanciato il servizio di posta elettronica Yahoo Mail e acquisito la startup di news Artifact, oltre ad aver investito per dotare di intelligenze artificiali molti suoi servizi. Secondo il sito Business Insider, questo tipo di interventi ha già avuto effetti positivi: Yahoo Mail «sta crescendo a cifra doppia da ormai mesi» e anche il traffico di Yahoo News è aumentato, anche grazie a social network come TikTok, dove ha 2,6 milioni di follower. Secondo dati di Similarweb, inoltre, Yahoo News è la principale destinazione per la categoria news e media negli Stati Uniti.

Persino l’utenza del sito è più giovane del previsto, con più del 45 per cento dei visitatori appartenenti alla generazione dei Millennial o Z (negli Stati Uniti). Hanno successo anche sezioni tematiche come Yahoo Finance, la fonte preferita per le notizie finanziarie per Millennial e Gen Z, o la nuova app Yahoo Fantasy, pensata per seguire i fantasy sport americani.

Yahoo visse il suo periodo migliore negli anni Novanta, quando la concorrenza era rappresentata da siti come Excite, Lycos e America Online. Venivano detti “portali” perché facevano da punto di inizio della navigazione nel web per gli utenti, in un momento in cui la ricerca era ancora complessa e poco precisa. Tra il 1996, anno della quotazione di Yahoo in borsa, e il 1998, Yahoo si impose nel mercato e il suo titolo crebbe di circa il 600 per cento.

Le cose cominciarono a cambiare nel 1998, anno di fondazione di Google, che rese i portali obsoleti nel giro di pochi anni. Negli stessi anni, molte aziende e startup nate sull’onda dell’entusiasmo per la rete furono vittime della cosiddetta bolla dot-com, cioè il periodo di grandi speculazioni in cui il valore delle aziende di tecnologia fu abbondantemente sovrastimato in borsa, e che si concluse con una crisi che le fece in gran parte crollare. Yahoo riuscì a superarla ma non tornò mai all’influenza e al potere che aveva raggiunto nei primi anni.

La mancata crescita di Yahoo ha molte cause ma l’errore principale fu rinunciare a comprare Google, cosa che avvenne in ben due occasioni: nel 1998, quando i fondatori di Google tentarono di venderla ad AltaVista e Yahoo per un milione di dollari, e nel 2002, quando la valutazione era maggiore ma comunque risibile in confronto a quella odierna di Google. Una delle ragioni della scelta di Yahoo fu il timore che l’algoritmo di ricerca di Google potesse avere un impatto sul numero di visite al proprio portale. Nel 2006 l’azienda cercò anche di acquisire l’allora neonata Facebook ma l’offerta di un miliardo di dollari fu rifiutata da Mark Zuckerberg.

Quella in corso comunque non è la prima volta che Yahoo cerca di recuperare la “coolness” perduta. Dopo alcuni anni di crisi, nel 2012 Yahoo provò a rilanciarsi nominando come CEO Marissa Mayer, ex dirigente di Google, che coordinò un piano di espansione ambizioso, che incluse l’acquisizione del social network Tumblr nel 2013 e il rilancio del servizio di streaming video Yahoo Screen. Per l’occasione, produsse una nuova versione di Community, una serie comica della NBC che aveva un grande seguito online, ma non riuscì a trovare un pubblico per il servizio.

La gestione di Mayer durò fino al 2017 e coincise con uno dei momenti di maggiore declino per l’azienda. In cinque anni le visite mensili alla homepage del sito passarono da 10 miliardi a meno di 4 miliardi e mezzo (mentre quelle di Google salirono da 17 a 56 miliardi). Nel 2016 gli analisti calcolarono che i servizi digitali di Yahoo si erano svalutati talmente tanto da valere meno di zero.

Nel corso degli anni seguenti, Yahoo cambiò CEO e proprietà, venendo acquisita prima dalla compagnia telefonica statunitense Verizon e poi dal fondo di private equity Apollo Global Management, che ne controlla il 90 per cento.

Per anni l’asset più importante dell’azienda fu in realtà una quota di Alibaba, società cinese che si occupa di servizi web, su cui investì un miliardo di dollari già nel 2001. La crescita di Alibaba fu tale che nel 2016 la quota posseduta da Yahoo raggiunse un valore di 25 miliardi di dollari (il tutto nonostante ne avesse venduta una parte pochi anni prima). Questa cifra fece discutere perché, come scrisse Vox, Yahoo nel suo complesso non valeva molto di più: «se si sottrae il valore di tutti i principali asset di Yahoo – inclusa una partecipazione multimiliardaria in Yahoo Japan (una filiale indipendente in cui Yahoo è un azionista di minoranza) e qualche miliardo di dollari in contante – dal suo valore di mercato, si ottiene un grande numero negativo». Il commentatore di Bloomberg Matt Levine calcolò che «l’attività principale di Yahoo, ovvero essere Yahoo (e Tumblr e tutto il resto) ha un valore negativo di 13 miliardi di dollari».

Nel 2023 Mayer, a quel punto ormai ex CEO di Yahoo, diede un’intervista in cui ammise alcuni errori strategici (imputandoli anche alla scelta del «direttore operativo sbagliato»). All’epoca, disse, «stavamo anche considerando se fosse possibile acquistare Hulu o, ironicamente, Netflix. E credo che Netflix fosse a 4 miliardi e Hulu a 1,3 miliardi di dollari in quel momento. Qualsiasi delle due, col senno di poi, sarebbe stata un’acquisizione migliore».

Redazione Il Post

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