Eppure i progetti sono spesso a buon punto e molte riforme sono state avviate: il problema è quasi sempre come usare i soldi
Il progetto Openpolis ha pubblicato nuovi dati sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il grande piano di riforme e investimenti da realizzare entro giugno del 2026 finanziato coi fondi europei, di cui l’Italia beneficia nel complesso per oltre 194 miliardi di euro: al 13 dicembre 2024 ne aveva spesi solo 58 miliardi, all’incirca il 30 per cento del totale.
Significa che l’Italia ha speso meno di un terzo dei fondi che deve gestire, quando è trascorsa più della metà della durata del piano: sono passati più di tre anni e mezzo dall’approvazione, avvenuta nell’estate del 2021, e manca solo un anno e mezzo alla scadenza, fissata per metà del 2026. Al contrario l’attuazione del piano in termini di obiettivi raggiunti, come l’avvio dei progetti e delle riforme previste, è molto più avanti: significa che i ritardi e i problemi del piano riguardano la capacità di spesa dei diversi enti che gestiscono i programmi, cioè il finanziamento concreto dei progetti (che hanno poi ricadute sull’economia nazionale).
Secondo il monitoraggio di Openpolis i progetti più indietro sul fronte della spesa riguardano la transizione ecologica, con solo l’8 per cento dei fondi spesi contro l’85 per cento delle riforme attuate, la cultura e il turismo, per cui è stato speso l’11 per cento dei fondi a fronte di riforme completate, e la salute, con una spesa del 14 per cento dei fondi a fronte di tutte le riforme completate. Seguono poi i progetti in digitalizzazione, con le riforme completate ma la spesa ferma al 22 per cento, e quelli in istruzione e ricerca, per cui è stato speso il 26 per cento dei fondi a fronte di riforme completate al 94 per cento. Quelli più avanti riguardano le infrastrutture, per cui è stato speso il 46 per cento dei fondi, e le imprese, con il 47 per cento.
Openpolis ha detto che arrivare a questi calcoli non è stato facile, a causa dei ritardi e delle opacità nella pubblicazione dei dati da parte di Italia Domani, la piattaforma su cui vengono rese pubbliche le informazioni sul PNRR. Lo stesso è stato peraltro confermato in una recente audizione anche dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), l’ente indipendente che si occupa del monitoraggio dei conti pubblici, che ha espresso molte critiche sulle modalità di consultazione della piattaforma.
Lo stesso Ufficio Parlamentare di Bilancio ha fatto notare a sua volta i ritardi nella spesa: nella stessa audizione ha detto che a ottobre risultava non solo che la spesa non arrivava neanche al 30 per cento delle risorse complessive, ma anche che la metà di quanto speso era servito a finanziare misure che erano già state previste prima del PNRR, il cui finanziamento è stato poi in parte coperto dai fondi del piano. Per farla breve, significa che la metà dei fondi spesi finora è servita a coprire i costi di interventi che non hanno aggiunto nulla all’economia italiana rispetto a quanto fosse già previsto.
Recentemente lo stesso ufficio ha poi condotto uno studio sullo stato di realizzazione di uno degli obiettivi più discussi e ambiziosi del piano, cioè la realizzazione di nuovi posti negli asili nido e nelle scuole materne, da sempre una delle grosse criticità delle politiche familiari italiane: ha rilevato grossi ritardi sia su quanti soldi sono stati spesi rispetto ai fondi stanziati, sia nello stato di avanzamento dei lavori. Col risultato che difficilmente riuscirà a centrare l’obiettivo di creare circa 150mila posti in più.
Anche l’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha rilevato che i ritardi hanno più che altro a che vedere con la spesa dei fondi, e non tanto con l’attuazione in sé del piano. Nell’ultima relazione al parlamento, avvenuta a luglio dello scorso anno, il governo puntò molto proprio su questo: nonostante la spesa dei fondi stia procedendo a rilento, l’Italia, a confronto con altri paesi dell’Unione Europea, è tra quelli che hanno realizzato il maggior numero di obiettivi e che hanno ricevuto la più alta percentuale di fondi previsti.
Il PNRR prevede infatti erogazioni di fondi progressivi. I vari obiettivi che ciascun paese deve conseguire per vedersi corrispondere i relativi finanziamenti sono divisi in varie tranche, comunemente chiamate “rate”. Ogni rata prevede un certo numero di riforme da approvare e progetti da realizzare entro sei mesi, e se questi obiettivi vengono raggiunti la Commissione provvede a mandare le risorse prestabilite.
Proprio per questo meccanismo, è evidente che se non si risolvono i problemi sul fronte della spesa rischiano di sorgere problemi col pagamento delle ultime rate, che dovrebbero essere versate in un momento in cui la Commissione Europea tirerà le fila sull’attuazione complessiva del piano e sulle ricadute sull’economia italiana. In più dall’attuazione del PNRR, e dai suoi effetti sull’economia, dipende anche il raggiungimento degli obiettivi di crescita del Prodotto Interno Lordo che ha fatto il governo, le cui stime sono più ambiziose di quelle dei principali istituti: se il piano dovesse avere problemi è praticamente certo che queste stime non saranno rispettate.