Il diritto di voto alle donne in Italia, 80 anni fa

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La signora Fanfani al voto ANSA

Fu stabilito con un decreto il primo febbraio 1945 dopo decenni di iniziative e richieste per il suffragio universale nel nostro paese

Il 1 febbraio del 1945 con un decreto legislativo fu stabilito il diritto di voto alle donne in Italia, a condizione che avessero almeno 21 anni. La decisione arrivava dopo decenni di iniziative e richieste per avere il suffragio universale nel nostro paese. Circa un anno dopo, le donne poterono votare per la prima volta, ma non al referendum del 2 giugno per scegliere tra monarchia e Repubblica, come molti credono.

La prima via italiana al riconoscimento di un suffragio davvero universale fu quella giudiziaria, quando il 17 marzo del 1861 la carta fondamentale della nuova Italia unita divenne lo Statuto Albertino che all’articolo 24 diceva:

«Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi».

Anche se non era indicata in modo esplicito, una di quelle eccezioni riguardava le donne. In seguito, la riforma elettorale del 1882 concesse il diritto di voto a una parte consistente del movimento operaio portando il corpo elettorale dal 2,2 per cento delle popolazione a circa il 7 per cento, ma continuò a trascurare le donne. Lo stesso avvenne con la successiva legge del 1895. L’esclusione aveva portato a varie iniziative per chiedere la parificazione del voto nei decenni precedenti. In particolare, nel 1877, Anna Maria Mozzoni, milanese, femminista e socialista, rifacendosi alle esperienze inglesi, francesi e statunitensi aveva presentato una petizione al governo «per il voto politico alle donne», la prima di una lunga serie ad essere bocciata.

Nel 1906 la pedagogista Maria Montessori scrisse sul giornale La vita un articolo in cui ribadiva la necessità di iscrivere anche le donne nei registri elettorali, specificando che la legge non poneva alcun esplicito divieto. Quello stesso anno le Corti di appello di sei città (Firenze, Palermo, Venezia, Cagliari, Brescia e Napoli) pronunciarono altrettante sentenze per bocciare il riconoscimento dell’elettorato politico alle donne che alcune Commissioni elettorali provinciali avevano accolto. Nei decenni successivi ci furono vari tentativi, comprese alcune iniziative parlamentari, ma non si arrivò mai all’estensione del diritto di voto, o per meglio dire alla piena applicazione di quanto era previsto nello Statuto. L’affermarsi del regime fascista e della dittatura impedì ulteriormente una possibilità di cambiamento.

Il 30 gennaio del 1945 con l’Europa ancora in guerra e il nord Italia sotto l’occupazione tedesca, durante una riunione del Consiglio dei ministri si discusse del suffragio femminile, che fu sbrigativamente approvato come qualcosa di ovvio o, a quel punto, di inevitabile. Il decreto fu emanato il primo febbraio: potevano votare le donne con più di 21 anni a eccezione delle prostitute che esercitavano «il meretricio fuori dei locali autorizzati». Nel decreto venne però dimenticato un particolare non da poco: l’eleggibilità delle donne che venne stabilita con un decreto successivo, il numero 74 del 10 marzo del 1946; sui giornali se ne parlò pochissimo.

Il 10 marzo del 1946 fu la prima occasione in cui le donne italiane poterono votare e essere votate nel corso di un’elezione. Il suffragio femminile in Italia non iniziò infatti con il referendum del 2 giugno 1946 per scegliere tra Repubblica e Monarchia, svolto in contemporanea alle elezioni per scegliere i membri dell’Assemblea Costituente, bensì alcuni mesi prima in occasione delle elezioni amministrative.

Quelle furono le prime elezioni in Italia dalla fine della Seconda guerra mondiale: si votò in 5.722 comuni in cinque tornate, dal 10 marzo al 7 aprile, e in altri 1.383 comuni in otto tornate in autunno, per rinnovare le amministrazioni comunali di tutti i capoluoghi di provincia (tranne Bolzano e Gorizia, dove si votò nel 1948), un tempo governati dai fascisti.

Le donne risposero in massa, e l’affluenza generale superò l’89 per cento. Circa 2mila candidate vennero elette nei consigli comunali, la maggioranza nelle liste di sinistra. Vennero anche elette le prime sindache della storia d’Italia: Margherita Sanna a Orune, in provincia di Nuoro; Ninetta Bartoli a  Borutta, in provincia di Sassari; Ada Natali, a Massa Fermana, in provincia di Fermo; Ottavia Fontana a Veronella, in provincia di Verona; Elena Tosetti a Fanano, in provincia di Modena; Lydia Toraldo Serra a Tropea, all’epoca in provincia di Catanzaro.

La stessa grande partecipazione ci fu in seguito anche per il referendum del 2 giugno, in cui italiane e italiani scelsero la forma istituzionale dello Stato, la Repubblica

Redazione il Post

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