«La più grande operazione di espulsioni di massa della storia americana»

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Una donna dell'Angola a Lajas Blancas, Panama, il 10 novembre: è arrivata lì dalla Colombia con l'obiettivo ultimo di raggiungere gli Stati Uniti (AP Photo/Matias Delacroix)

L’ha promessa Donald Trump, da realizzare nel suo secondo mandato con metodi drastici che già ora sono contestati

Negli ultimi mesi Donald Trump ha parlato spesso dell’intenzione di allontanare «milioni» di migranti irregolari dal territorio degli Stati Uniti, in quella che sarebbe «la più grande operazione di espulsioni di massa della storia americana», come lui stesso l’ha definita il mese scorso in un comizio. Non è chiaro come questa operazione verrà messa in pratica: al momento non ci sono i fondi né le risorse per attuarla, e con tutta probabilità finirà al centro di numerosi ricorsi legali. Allo stesso tempo, alcune nomine annunciate di recente da Trump per la sua futura amministrazione, tra cui quelle di Stephen Miller e Thomas Homan, lasciano pochi dubbi sulle sue intenzioni di realizzarla.

Le espulsioni interesserebbero i migranti che si trovano negli Stati Uniti senza i necessari permessi: sono per esempio le persone entrate illegalmente in territorio statunitense, oppure quelle che hanno un visto scaduto. Trump non ha mai spiegato nel dettaglio come funzionerebbe il suo piano, ma si è limitato a parlarne in modo vago.

Un’idea più organica è stata presentata da Stephen Miller in un’intervista con il New York Times del novembre del 2023. Miller, che è considerato molto vicino a Trump e sarà vice capo di gabinetto nella prossima amministrazione, ha sempre espresso idee estremamente repressive sull’immigrazione.

Tra le altre cose ha detto che il piano prevede la costruzione di strutture apposite dove detenere i migranti mentre aspettano che la loro richiesta di asilo sia esaminata, oppure mentre aspettano di essere espulsi. Ha detto che questi centri verranno costruiti «in spazi vuoti» vicino al confine tra Texas e Messico, e saranno gestiti dal dipartimento per la Sicurezza interna. A capo di quel dipartimento Trump ha nominato Kristi Noem, attuale governatrice del South Dakota ed esponente dell’ala più radicale del Partito Repubblicano.

In questo modo l’amministrazione vuole rendere più rapide le procedure di espulsione, ma anche convincere i migranti detenuti nei centri a lasciare volontariamente il paese pur di non rimanere chiusi per chissà quanto nelle strutture.

Stephen Miller durante un comizio di Donald Trump a Detroit (AP Photo/Evan Vucci)

Secondo i piani di Trump e Miller, all’interno dei centri verrebbero ospitati anche migranti irregolari che ormai vivono da tempo negli Stati Uniti, e quindi non possono essere sottoposti a procedure di espulsione rapide. Sono persone che in molti casi si sono create una famiglia negli Stati Uniti, hanno un lavoro e sono integrate nelle loro comunità: per arrestarle il piano prevede di aumentare le risorse a disposizione dell’ICE, l’agenzia federale responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione, spostando lì alcuni agenti che lavorano per altre agenzie federali.

Si stima che negli Stati Uniti siano presenti circa 11 milioni di migranti irregolari (in un’intervista con Time Magazine Trump aveva esagerato questa cifra, parlando di 15 0 20 milioni di persone). Per trovarli e arrestarli, Miller ha detto che l’amministrazione sfrutterà procedure come i workplace raids, operazioni con cui gli agenti dell’ICE visitano senza preavviso i luoghi di lavoro in cui pensa ci siano migranti irregolari. È una pratica invasiva e discriminatoria, che era già stata usata durante la prima amministrazione Trump.

In diversi comizi Trump ha detto di voler riattivare l’Alien Enemies Act, una legge del 1798 che permette al governo di espellere in modo molto rapido dal proprio territorio cittadini di paesi stranieri con cui gli Stati Uniti sono in guerra, oppure che hanno invaso gli Stati Uniti. La legge è stata invocata per l’ultima volta durante la Seconda guerra mondiale, ma al momento nessun paese è in guerra con gli Stati Uniti: Trump ha fatto però intendere di considerare l’arrivo di migranti dal confine meridionale al pari di una “invasione”, seppure non compiuta da uno specifico paese.

È un’interpretazione molto traballante della legge, che con tutta probabilità verrà contestata in tribunale da varie organizzazioni per la difesa dei diritti umani.

Nell’intervista con il New York Times, Miller ha aggiunto che Trump intende anche invocare nuovamente il “Title 42”, una legge che permette di respingere le richieste di asilo durante un’emergenza sanitaria. La norma era stata applicata durante la pandemia di Covid-19, e ora Trump intende giustificarla sostenendo (in modo infondato) che i migranti provenienti dal Sud e Centro America potrebbero portare malattie come la tubercolosi o la scabbia.

Migranti camminano nel sud del Messico per raggiungere il confine con gli Stati Uniti (AP Photo/Moises Castillo)

Lunedì, con un messaggio sul suo social network Truth, Trump ha confermato di essere intenzionato a dichiarare lo stato di emergenza nazionale e usare l’esercito o la Guardia Nazionale, la principale forza di riservisti, per mettere in atto il suo programma di espulsioni di massa. L’uso dell’esercito sul territorio nazionale è vietato, ma un’eccezione è fornita dall’Insurrection Act, una legge del 1807 che permette al presidente di usare l’esercito anche sul territorio interno in situazioni di emergenza.

L’Insurrection Act venne invocato per l’ultima volta nel 1992, quando il presidente George H.W. Bush lo usò per fermare intense e violente proteste a Los Angeles cominciate dopo il pestaggio di un automobilista afroamericano, Rodney King, da parte di quattro poliziotti bianchi.

Trump ha nominato Thomas Homan come “czar del confine” (“border czar”), un titolo informale che nel gergo politico americano indica il funzionario che ha il controllo sulle politiche migratorie e della sicurezza del confine meridionale. Homan era già stato a capo dell’ICE all’inizio del primo mandato di Trump: aveva contribuito all’adozione di misure discriminatorie contro i migranti, tra cui il muslim ban e la separazione forzata dei bambini dai loro genitori sul confine.

Fin dalla sua prima campagna elettorale, nel 2015, Trump ha sempre usato termini ed espressioni dispregiative, discriminatorie o apertamente razziste contro i migranti. Soltanto negli ultimi mesi ha detto che «avvelenano il sangue del nostro paese», li ha definiti più volte «animali», ha promosso una notizia falsa su gruppi di stranieri che mangiano cani e gatti in una cittadina in Ohio e ospitato un comico che ha definito l’isola di Porto Rico «un’isola di spazzatura galleggiante».

Redazione IL POST

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