La chiusura della centrale a carbone di Civitavecchia, tra molte incertezze

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C’è un progetto per costruire un parco eolico in mare, ma i tempi non sono chiari, e intanto decine di aziende dell’indotto sono in crisi

di Angelo Mastrandrea

Nel mare davanti alla centrale a carbone Torrevaldaliga Nord, a Civitavecchia, non ci sono più navi carboniere. Fino a qualche mese fa se ne vedevano sempre almeno due o tre, al largo o in rada, incolonnate in attesa di poter scaricare il carbone che doveva poi essere bruciato nella centrale per generare energia elettrica. Queste navi erano riconoscibili anche da lontano per la scia di fuliggine che lasciavano al loro passaggio, causata dalla combustione del carburante, un olio pesante che quando viene bruciato produce un fumo nerastro.

«Non ne arrivano da gennaio e da allora noi non lavoriamo più», dice Roberto Ceccarelli, il presidente della Cooperativa servizi portuali (Cosepo), una cooperativa che forniva all’Enel, proprietaria della centrale, guardiani antincendio e operai sommozzatori per i lavori subacquei. Ceccarelli ricorda di aver fatto l’ultimo intervento importante la sera del 29 gennaio, quando i guardiani antincendio della sua cooperativa hanno spento con gli idranti un incendio scoppiato in uno dei due carbonili, i cosiddetti «dome».

I due carbonili, chiamati «dome» della centrale di Torrevaldaliga nord (foto Rocco Rorandelli/Terra Project/Contrasto)

I «dome» della centrale di Torrevaldaliga Nord il 30 ottobre 2021 (Rocco Rorandelli/Terra Project/Contrasto)

I «dome» furono costruiti nel 2008, per evitare che le polveri di carbone finissero nell’atmosfera, si posassero sui campi coltivati o arrivassero fino in città. Sono dei depositi dalla forma semisferica, alti 50 metri e con un diametro di 148 metri, e possono contenere fino a 140mila tonnellate di carbone. Alessio Rossi, un sommozzatore della Cosepo, racconta di aver contribuito alla loro costruzione e di aver fatto decine di lavori di manutenzione e di riparazioni nella centrale, sia sotto il pontile che sulle navi attraccate, sempre immergendosi sott’acqua.

Lo definisce «un lavoro molto usurante, che mi ha provocato artrosi, reumatismi e dolori cervicali». Ora che le navi non arrivano più, alla centrale non hanno più bisogno di lui, se non per qualche sporadico intervento. «In pochi mesi abbiamo perso 400mila euro di fatturato, che corrispondono al 40 per cento delle nostre entrate, e dal primo maggio siamo stati costretti a mettere in cassa integrazione 7 operai su 16», spiega Ceccarelli.

Dall’inizio del 2024 Enel ha ridotto gradualmente la produzione di energia elettrica a Torrevaldaliga Nord, fino ad azzerarla. Ora la centrale non ne sta producendo, anche se i tre impianti che bruciano il polverino di carbone, cioè il combustibile triturato, verranno mantenuti attivi fino alla chiusura definitiva, che nel piano industriale approvato a marzo è prevista alla fine del 2025, per poter far fronte a eventuali emergenze energetiche. Per queste ragioni, Enel non ha più comprato carbone per alimentare la centrale. Secondo i dati forniti dall’Autorità di sistema portuale dei mari Tirreno e Ionio, nei primi sei mesi del 2024 nello scalo laziale ne sono arrivate appena 69mila tonnellate, contro i 4,5 milioni di tonnellate del 2022.

Alessio Rossi, sommozzatore impiegato nella centrale di Civitavecchia (foto Angelo Mastrandrea/Il Post)

Alessio Rossi, un sommozzatore della Cosepo impiegato nella centrale (foto Angelo Mastrandrea/Il Post)

L’interruzione della produzione di carbone a Torrevaldaliga Nord ha mandato in crisi molte società e cooperative dell’indotto, come appunto la Cosepo di Ceccarelli: per “indotto” s’intende l’insieme delle attività economiche la cui esistenza dipende direttamente da un’attività industriale più grande, come in questo caso la centrale a carbone. Alle aziende dell’indotto di Torrevaldaliga Nord vengono appaltati lavori soprattutto nei settori metalmeccanici e portuali, oppure nella fornitura di materiali.

In questi due anni il ministero dell’Ambiente ha anche autorizzato la costruzione di un parco eolico in mare davanti alla centrale, per una produzione di energia elettrica sostenibile a livello ambientale: questa soluzione dovrebbe tutelare anche le società dell’indotto, che Enel ha detto di voler impiegare nella realizzazione. Al momento però il progetto del parco eolico in mare è fermo e dipende da investimenti statali: i tempi potrebbero essere molto lunghi, aggravando la crisi dell’indotto.

Le gru utilizzate per scaricare il carbone dalle navi carboniere, sulla banchina davanti alla centrale (foto Angelo Mastrandrea/Il Post)

Il pontile vuoto davanti alla centrale con le gru per scaricare il carbone (Angelo Mastrandrea/Il Post)

Nel frattempo alla centrale di Torrevaldaliga Nord il pontile è vuoto e le gru per prelevare il carbone dalle navi sono ferme sulla banchina, inutilizzate. I nastri trasportatori sono spenti e i «dome» sono semivuoti. Pure la ciminiera non fa più il suo tipico rumore simile a uno sbuffo. Dal mega camino a strisce bianche e rosse, alto 250 metri e ben visibile da ogni punto della città e anche dall’autostrada, non esce il caratteristico pennacchio di fumo che a Civitavecchia chiamano «il fungo» e da quasi trent’anni è considerato il simbolo dell’inquinamento provocato dalla combustione del carbone.

La centrale di Torrevaldaliga Nord fu costruita negli anni Sessanta vicino a quella di Torrevaldaliga Sud, che già esisteva da un decennio. Fino agli inizi degli anni 2000 entrambe erano alimentate ad olio combustibile, un prodotto di scarto della raffinazione del petrolio considerato molto inquinante e pericoloso per la salute umana. Poi Enel decise di riconvertire Torrevaldaliga Nord al carbone, mentre la centrale gemella, che fu acquistata dalla Tirreno Power, passò al gas. Torrevaldaliga Nord fu portata a una capacità complessiva di 1980 megawatt, che in Italia era superata solo dalla centrale di Brindisi.

Per limitare l’inquinamento, Enel fece installare dei filtri per eliminare le principali sostanze inquinanti prodotte dalla combustione del carbone, adeguandosi alle normative più rigide a livello internazionale. Inoltre, coprì i carbonili per evitare che durante le giornate di vento il pulviscolo di carbone si diffondesse nell’atmosfera e arrivasse fino in città.

Nonostante queste misure, secondo l’associazione Legambiente la centrale è rimasta comunque la principale fonte di emissioni di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera in Italia, con più di otto milioni di tonnellate all’anno (l’anidride carbonica è il principale gas a cui si deve il riscaldamento globale). Uno studio delle ong WWF, Climate Action Network, Health and Environment Alliance e Sandbag l’ha indicata come una tra la più inquinanti d’Europa.

Anche gli scarichi delle navi carboniere sono stati accusati di aver contribuito a fare di Civitavecchia una delle città più inquinate d’Italia e il suo porto tra i più inquinati d’Europa. Per questo gli ambientalisti e i comitati hanno festeggiato la chiusura della centrale come una loro vittoria.

A risentire della chiusura, come detto, sono soprattutto aziende e cooperative dell’indotto. Un esempio è la Minosse, la società che scaricava il carbone dalle navi, che a metà settembre ha aperto una procedura di licenziamento collettivo per 17 operai. Nei mesi precedenti, durante la campagna elettorale per le amministrative, i lavoratori avevano scritto in una lettera ai candidati sindaci che «la transizione energetica non può essere scaricata sui più deboli e la lotta ai cambiamenti climatici, quanto più necessaria, deve andare di pari passo con quella per la giustizia sociale».

Negli stessi giorni di settembre, alla Cooperativa costruzioni montaggi e servizi (CCMS) «con un taglio netto e improvviso sono state ridotte del 60 per cento le attività di manutenzione nella centrale», racconta il presidente Piero Carrozzo. La cooperativa ha cinque contratti triennali con Enel, «uno diretto e altri quattro insieme ad altre società»: quattro riguardano la manutenzione dell’impianto di raffreddamento dei fumi, dei nastri trasportatori e dei carbonili, e il quinto la gestione del magazzino.

«Ci siamo ritrovati con un fatturato che è calato da tre milioni di euro a 1,8 milioni», dice Carrozzo. La cooperativa ha diminuito da 40 a 15 i dipendenti impiegati ogni giorno nella centrale, ma non ha licenziato nessuno perché, «già dal 2020, in previsione della dismissione, abbiamo cominciato a diversificare le attività, lavorando in particolare alla manutenzione degli impianti di smaltimento dei rifiuti in tutto il Lazio».

L'interno dello stabilimento della Cooperativa costruzioni montaggi e servizi di Civitavecchia (foto Angelo Mastrandrea/Il Post)

Lo stabilimento della Cooperativa costruzioni montaggi e servizi a Civitavecchia (Angelo Mastrandrea/Il Post)

Le imprese che lavorano a Torrevaldaliga Nord, in servizi come la mensa o i controlli anti-inquinamento, sono una quarantina. Impiegano 700 persone – 500 lavoratori metalmeccanici e 200 elettrici – e fatturano complessivamente circa 120 milioni di euro all’anno. La Legacoop, l’associazione di rappresentanza delle cooperative, prevede un calo del 40 per cento delle entrate, circa 4 milioni di euro su un fatturato complessivo di 11 milioni, per le coop che lavorano in appalto per la centrale Torrevaldaliga Nord.

«Molte hanno già dovuto fare ricorso alla cassa integrazione e la metà rischia di chiudere, per questo chiediamo azioni concrete e immediate per garantire l’occupazione e tutelarne la sopravvivenza», dice il presidente della Legacoop Lazio Mauro Iengo. «Nessuno può pensare che questa città possa sopportare da sola il peso di una transizione così importante», hanno scritto in una nota i sindacati Filt Cgil e Usb. L’Enel dice che sta lavorando a una «soluzione condivisa con il territorio» e che l’obiettivo è di «utilizzare i lavoratori dell’indotto nello smontaggio degli impianti».

La centrale di Torrevaldaliga nord a Civitavecchia vista dal mare (foto Angelo Mastrandrea/Il Post)

La centrale di Torrevaldaliga Nord vista dal mare (Angelo Mastrandrea/Il Post)

La chiusura della centrale di Torrevaldaliga Nord era prevista già dal Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC), approvato a gennaio del 2020 dal secondo governo guidato da Giuseppe Conte (quello sostenuto soprattutto da Movimento 5 Stelle e Partito Democratico). Il Piano, che conteneva le misure previste dall’Italia per attuare gli obiettivi europei per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, stabiliva il “phase out”, cioè l’uscita dal carbone dell’Italia, entro il 2025. All’inizio, l’Enel aveva pensato a una conversione al gas, come a Torrevaldaliga Sud. Le istituzioni locali, gli industriali, i sindacati, gli ambientalisti e i comitati cittadini però si opposero: i primi perché ritenevano che il passaggio al gas avrebbe garantito molti meno posti di lavoro di quelli impiegati nella centrale a carbone; gli altri perché il gas non è un’energia pulita e rinnovabile.

Come alternativa, tutti sostennero la costruzione di un parco eolico in mare. Proposero che Civitavecchia diventasse un «hub» per la costruzione di pale eoliche. «Non era un progetto campato per aria, perché nelle aziende che lavorano per la centrale abbiamo già le competenze e le tecnologie per riconvertirci all’eolico», dice Carrozzo. La cooperativa CCMS si candidò per la realizzazione dei galleggianti su cui poggiare le pale.

Il 16 marzo del 2022 la Tyrrhenian Wind Energy, una società formata da una partnership tra GreenIT – che è a sua volta una joint venture tra Eni Plenitude e CDP Equity di Cassa Depositi e Prestiti – e la danese Copenhagen Infrastructure Partners, depositò al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica un progetto di parco eolico offshore, cioè a distanza dalla costa. Il piano prevede un investimento di 2,2 miliardi di euro per l’installazione di 27 pale eoliche, dalla capacità complessiva di 540 megawatt, ancorate su fondali che vanno dai 150 ai 450 metri tra i 20 e i 30 chilometri dalla costa.

Il 21 febbraio del 2022 l’Enel disse che non avrebbe più partecipato al capacity market, cioè l’asta per vendere l’energia elettrica al gestore della rete Terna, e ritirò la richiesta di Valutazione d’impatto ambientale per la riconversione a gas della centrale di Torrevaldaliga Nord.

Il giorno seguente, la vicepresidente del Lazio Roberta Lombardi, del Movimento 5 Stelle, annunciò che a Civitavecchia sarebbe nata «dalle ceneri della centrale a carbone una grande operazione di riconversione energetica e produttiva di tutta l’area, attraverso la realizzazione del parco eolico offshore, il primo galleggiante d’Italia». Fu formato un Comitato di coordinamento per la riconversione della centrale a carbone di Civitavecchia, di cui fanno tuttora parte rappresentanti del ministero delle Imprese e di quello dell’Ambiente, della Regione Lazio, del comune di Civitavecchia, dell’Autorità portuale, dell’Enel, di Legacoop e dei sindacati.

Il 24 febbraio del 2022 la Russia invase l’Ucraina. Nei giorni seguenti il governo di Mario Draghi, per far fronte alla crisi energetica provocata dall’interruzione alla fornitura di gas russo, dispose la riapertura delle quattro centrali a carbone di Enel a Brindisi, Civitavecchia, Fusina in Veneto e Portovesme in Sardegna, oltre a quelle dell’A2A a Monfalcone, in Friuli Venezia Giulia (che era già ferma da due anni) e della Ep a Fiumesanto, in provincia di Sassari. Solo la centrale della Spezia non fu riattivata, poiché l’impianto era stato spento definitivamente due mesi prima.

La centrale di Torrevaldaliga Nord riprese a produrre elettricità a pieno regime e nel porto di Civitavecchia riprese il viavai di navi carboniere. A settembre del 2023, poiché l’emergenza legata alla carenza di gas in Italia era finita, l’Enel ricominciò a ridurre la produzione di energia elettrica a Civitavecchia.

Il piano industriale presentato dall’azienda a marzo del 2024 ha confermato la chiusura e i nuovi impegni presi dal governo con la Commissione Europea agli inizi di luglio hanno previsto la dismissione della centrale alla fine del 2025, insieme a quella di Brindisi. In Italia rimarranno attive solo le due centrali sarde, fino a quando sarà completato il Tyrrhenian Link, un lungo cavo sottomarino dell’elettricità che collegherà la Sardegna e la Sicilia alla penisola.

Il 23 ottobre al ministero delle Imprese e del Made in Italy si è svolta l’ultima riunione del comitato di riconversione della centrale di Civitavecchia. Enel ha riconfermato che la centrale chiuderà entro la fine del 2025 e ha detto che gli impianti verranno smontati. Il governo ha deciso di presentare un bando per la riconversione dell’area che, oltre al perimetro della centrale, comprende anche alcuni terreni intorno. Ha stanziato 500mila euro che saranno gestiti da Invitalia, una società controllata completamente dal ministero dell’Economia.

Finora sono già stati proposti un «polo logistico dell’automotive», un impianto di biocombustibile, un imprecisato «progetto industriale, logistico e attività complementari», uno stabilimento di «trading di materiali alla rinfusa e commodities» e la costruzione di alcuni magazzini logistici. Si sta discutendo anche della creazione di una Zona logistica semplificata (ZLS), cioè un’area in cui le aziende che vogliono insediarsi hanno delle agevolazioni sia economiche che burocratiche.

Sul tavolo al ministero non c’era invece il progetto del parco eolico in mare. «Se n’è parlato, ma i tempi per la sua eventuale realizzazione sono considerati molto lunghi, almeno quattro o cinque anni», racconta in maniera anonima uno dei partecipanti all’incontro. L’Autorità portuale di Civitavecchia ha presentato al governo un progetto per la costruzione dell’hub dell’eolico nel porto, dove verrebbero assemblate le pale.  Costerebbe 518 milioni di euro, per la costruzione di una nuova banchina e di mura di protezione, e impiegherebbe tutti i lavoratori dell’indotto, mentre Enel ricollocherebbe in altri impianti i suoi 500 dipendenti diretti.

Il sindaco di Civitavecchia Marco Piendibene, che guida una giunta di centrosinistra, ha detto che «ci sono soggetti privati di assoluto livello, olandesi e belgi, pronti a investire per realizzarlo», ma è necessario che lo Stato ci metta almeno un centinaio di milioni di euro di fondi pubblici. Il governo però è orientato a preferire un analogo progetto presentato a Brindisi, dove Enel sta dismettendo un’altra centrale a carbone. «La verità è che il parco eolico offshore è un investimento molto costoso e non ha più gli sponsor politici di due anni fa, quando al governo c’era Draghi e la Regione Lazio era guidata dal centrosinistra», spiega sempre in forma anonima un altro dei componenti del Comitato. Sul sito del ministero dell’Ambiente la procedura per la Valutazione di impatto ambientale della Tyrrhenian Wind Energy risulta «conclusa».

Redazione IL POST

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