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Dalle catene di abbigliamento ai cinema le aziende se ne dotano sempre di più, per stimolare gli acquisti e per vanto: spesso però basterebbe un buon sito

Nel 2009 Apple mandò in onda una delle pubblicità più famose della sua storia: «Vuoi controllare se c’è neve in montagna?», chiedeva una voce fuori campo. «C’è un’app per farlo! Se vuoi controllare quante calorie ci sono nel tuo pranzo, c’è un app per farlo! E se vuoi ricordarti esattamente dove hai parcheggiato l’auto, c’è un app per farlo. Sì, c’è un’app per fare praticamente qualsiasi cosa, e sono tutte nel tuo iPhone». Nell’arco di qualche mese, «There’s an app for that!» divenne un tormentone usato in centinaia di articoli, blog, meme. L’anno seguente, il Pew Research Center scrisse che il 43 per cento degli adulti che utilizzavano un telefono cellulare avevano delle app sul loro dispositivo, anche se soltanto il 68 per cento le usava regolarmente.

A quindici anni di distanza è piuttosto raro trovare qualcuno che non usi uno smartphone, e tantomeno qualcuno che non usi regolarmente le app installate sul telefono: il problema, piuttosto, è che ce ne sono troppe. Al momento sul Google Play Store, presente su tutti i dispositivi che usano il sistema operativo Android, ci sono più di 3,5 milioni di app; sull’App Store di Apple, il secondo più utilizzato al mondo, sono oltre 1,6 milioni. Tantissime appartengono a catene di negozi, ristoranti, hotel, supermercati, cinema, farmacie, compagnie aeree e altre aziende che, fino a qualche anno fa, si sarebbero accontentate di aprire un sito internet.

L’obiettivo di queste app, dal punto di vista delle aziende, è quello di raggiungere più facilmente i clienti, informandoli su sconti e promozioni tramite notifica e raccogliendone i dati per prevedere il loro comportamento e incentivare ulteriori acquisti. Alla maggior parte delle persone però non piace installare questo genere di app, con il rischio di utilizzarle una o due volte e poi lasciarle a occupare spazio nella memoria dello smartphone: anche per questo, vari esperti oggi consigliano alle aziende di non sviluppare un’app soltanto per il gusto di poter dire di averne una, ma di pensare bene, prima, se sia una buona strategia nel loro caso specifico.

Che si tratti del tabaccaio dell’angolo o di una multinazionale del settore della moda, oggi chiunque abbia una propria attività ha bisogno di una presenza online anche minima: nel caso del tabaccaio basterà aggiornare gli orari di apertura e il numero di telefono su Google Maps. Le aziende più grandi, che includono decine di filiali e punti vendita, hanno quasi sempre dipendenti dedicati che si occupano di strategie di marketing e di customer care, e altrettanto spesso dei siti internet piuttosto complessi che permettono ai potenziali clienti di sfogliare il catalogo dei prodotti ed eventualmente anche di comprarli online, o quanto meno di prenotarli in un punto vendita fisico.

Normalmente questi siti incoraggiano i clienti a creare un proprio account, magari per accumulare punti in vista di qualche promozione futura, salvare il link a uno specifico prodotto per acquistarlo più tardi oppure fare acquisti più velocemente. Le attuali tecnologie web rendono il caricamento di questi siti molto più rapido di quanto non fosse qualche anno fa, e una gran percentuale degli utenti possono contare su connessioni internet altrettanto rapide. Eppure, soprattutto dopo la pandemia tantissime aziende, da Burger King ai supermercati Carrefour, dagli hotel Hilton al sito di ricette Giallozafferano, hanno deciso di pubblicare, separatamente, anche un’app.

Di solito sono gli stessi siti di queste aziende che cercano di reindirizzare gli utenti verso lo scaricamento di un’app. Più raramente, scaricarle è l’unico modo per ottenere il servizio desiderato: in molti paesi, per esempio, Ticketmaster permette alle persone che hanno comprato i biglietti per un concerto o un altro evento di visualizzarli soltanto all’interno della loro app.

«Alle aziende le app servono a portare i clienti nel loro ecosistema, a convincerli a tornare con promozioni e sconti e, soprattutto, per ottenere i loro dati», ha scritto la giornalista Emily Stewart. «A volte vengono proposte ai consumatori con la scusa della comodità: una volta che hai scaricato l’app di McDonald’s, tutti i tuoi prossimi ordini saranno più semplici. Ma ne vale davvero la pena?». Esattamente come succede con i siti, la gran maggioranza delle app viene programmata per raccogliere informazioni sulle abitudini di navigazione di un utente, il che a sua volta permette di catalogarne i gusti e le preferenze per poi mostrargli pubblicità più pertinenti.

Soprattutto nel caso delle app di supermercati, ristoranti o fast food, poi, l’app è fatta per ricordare quali prodotti sono stati ordinati in passato e riproporli all’utente al prossimo acquisto. Funziona: nel 2017 la divisione giapponese di McDonald’s scoprì che gli utenti che usavano la sua app per fare un ordine spendevano in media il 35 per cento in più rispetto a chi ordinava di persona. L’azienda spiegò che l’app rendeva più semplice l’atto di ordinare, il che invogliava gli utenti a utilizzarla più spesso. Il fatto che l’app ricordasse loro cosa avevano ordinato la volta precedente, poi, portava spesso a spese più elevate. Nel 2019, poi, uno studio ha mostrato che i clienti che scaricavano e utilizzavano l’app di un rivenditore tendevano ad acquistare più frequentemente, ad acquistare più articoli e a spendere importi maggiori rispetto ai clienti che non lo facevano.

Dal 2019 a oggi il numero di persone che utilizza gli smartphone non ha fatto che crescere, così come è cresciuta l’abitudine a fare acquisti e ricerche online. Piuttosto che investire semplicemente nel design di un sito web che si possa navigare scorrevolmente anche da smartphone, però, molte aziende hanno deciso di spendere molti più soldi in un’app, vista come un’alternativa più cool e moderna.

«Ora la chiave del tuo hotel è dentro a un’app, così come il tuo biglietto del treno. Il tuo dentista o il tuo medico potrebbe usare un’app per prenotare gli appuntamenti anche se il vecchio metodo, onestamente, funzionava benissimo. Al ristorante, non è raro finire per dover scansionare un codice QR che alla fine ti porta a scaricare qualche app solo per poter effettuare un ordine o pagare», riassume Stewart.

Questo approccio ha molti limiti, a partire dal fatto che le persone, semplicemente, sembrano aver davvero poca voglia di scaricare un’app diversa per ogni ristorante che frequentano o catena dove vogliono fare shopping. In parte è una semplice questione di sovraffollamento: essendoci così tante app a disposizione e così tanti stimoli in competizione tra loro, è improbabile che un’utente presti particolare attenzione alle notifiche del proprio supermercato o di una catena di hotel dove non ha in programma di tornare a breve.

A questo si aggiunge il fatto che alcune app consumano la batteria dei dispositivi più di altre, oppure richiedono l’accesso a una quantità sospettosamente estesa di dati, e tutte occupano prezioso spazio nella memoria del cellulare. Così, un gran numero di persone sono molto restie a scaricarne di nuove, e alcune preferiscono evitare un ristorante o rinunciare a uno sconto pur di non farlo.

«Spesso le app per smartphone vengono realizzate inutilmente, con il solo scopo di permettere all’azienda di vantarsi della propria app», dice Marc Fischer, fondatore di Dogtown Media LLC, un’azienda specializzata nello sviluppo di app per smartphone. «Invece è fondamentale che questi prodotti digitali servano uno scopo chiaro e definito, in qualsiasi settore». Secondo l’esperto di e-commerce Marc Bain, poi, un sito ben ottimizzato per i dispositivi mobili «può raggiungere molti degli stessi obiettivi di un’app a un prezzo inferiore. Ma quando un’app ha successo, i clienti acquistano più frequentemente, acquistano più articoli e spendono importi maggiori». Aziende di moda celebri come Nike e Levi’s, per esempio, dicono che una parte non indifferente delle loro vendite provengono proprio dalla loro app.

Ben Nassler, manager della piattaforma di servizi commerciali per aziende NewStore, dice che le app funzionano bene soprattutto per due tipi di aziende: quelle che hanno un brand molto forte, seguito e riconoscibile e quelle che hanno già un certo numero di clienti fedeli. A suo avviso, poi, «è più probabile che i consumatori vogliano utilizzare app che offrono funzionalità aggiuntive oltre a quelle fornite da un semplice sito web».

Chi si trova in un punto vendita Nike, per esempio, può usare l’app per scansionare i prodotti e ottenere maggiori informazioni al riguardo, mentre gli utenti dell’app di H&M possono usarla per trovare colori e taglie disponibili in un punto vendita specifico. Al contempo, più un’app offre servizi complessi, più finisce per essere costosa da sviluppare e da mantenere: anche per questo, spesso i siti web finiscono per essere un’alternativa meglio allineata con i bisogni dell’azienda e con le richieste degli utenti.

Redazione IL POST

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