L’Alta Corte di Londra ha concesso un ulteriore appello a Julian Assange contro l’estradizione negli Usa.
Sono state così riconosciute come non infondate le argomentazioni della difesa del fondatore di WikiLeaks sul timore di un processo non giusto negli Stati Uniti. Assange sta cercando di evitare di essere perseguito con l’accusa di spionaggio relativa alla pubblicazione di migliaia di documenti riservati e diplomatici.
Riaperta la partita sull’estradizione
Il verdetto dei giudici d’appello Victoria Sharp e Jeremy Johnson non entra nel merito del ricorso (che sarà dibattuto più avanti) ma riapre la partita dell’estradizione, dopo che già a marzo era stato introdotto un primo spiraglio con il rovesciamento del no secco opposto in primo grado dalla giustizia britannica all’istanza di ricorso della difesa.
Reazione di soddisfazione lato Assange
Dopo la lettura del breve dispositivo, gli avvocati di Assange si sono abbracciati in aula tra loro, mentre reazioni sorridenti riecheggiavano anche da parte della moglie dell’ex primula rossa australiana, Stella Morris, da suo padre e fra i sostenitori radunati fuori dal palazzo di giustizia. Il cofondatore di WikiLeaks avrà ora “alcuni mesi” per preparare un nuovo “processo d’appello” con tutti i crismi, come precisa la Bbc. Ma, almeno per il momento, resta in custodia cautelare nel carcere di massima sicurezza londinese di Belmarsh.
Rischio di condanna a morte negli Usa
I giudici non hanno ritenuto evidentemente adeguate le presunte “rassicurazioni” messe sul piatto dagli avvocati del Dipartimento di Giustizia di Washington sui due punti sollevati dai difensori rispetto alla garanzia di un giusto processo negli Usa: il rischio di una condanna a morte – prevista se non altro sulla carta per il reato contestato ad Assange di violazione dell’Espionage Act del 1917, mai contestato in oltre un secolo a un giornalista – e il timore di non poter invocare il Primo emendamento della Costituzione americana in materia di libertà d’espressione e d’informazione.
Le rassicurazioni dei legali Usa
Sul primo punto i legali di Washington hanno garantito, almeno verbalmente, che la pena capitale non sarebbe stata chiesta dalla pubblica accusa statunitense; mentre sul secondo punto si sono in effetti limitati a riconoscere ad Assange un vago diritto di fare istanza per ottenere la protezione del Primo emendamento, pur in veste di cittadino australiano, rinviandone tuttavia la concessione concreta o meno alla futura pronuncia di “una Corte” d’oltre Oceano.
Redazione Tgcom24.mediaset