Morto in carcere a 20 anni, il dramma di Patrick: “Era sordomuto e fragile, non doveva pagare con la vita”

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La tragedia si è consumata in pochi attimi all’alba del 13 marzo. Patrick Guarnieri, 20 anni, si è tolto la vita nel carcere di Castrogno, Teramo. Era il giorno del suo compleanno. Poco dopo, sua madre, anche lei detenuta nello stesso carcere, alla notizia della morte del figlio, ha avuto un malore. Patrick è il secondo detenuto che muore a Teramo nell’ultimo mese e mezzo. Patrick era un ragazzo fragile, con diagnosi complesse e una vita difficile sulle spalle. Era anche sordomuto. Secondo i dati di Antigone, nel carcere dove è stato trovato morto il tasso di sovraffollamento, a fine febbraio, è del 147% e la presenza di 375 persone detenute per 255 posti. Numeri che raccontano una situazione davvero difficile. La famiglia, addolorata, non può credere che Patrick si possa essere tolto la vita

Il dramma di Patrick, morto nella sezione osservazione

“Si tratta di un ragazzo di circa 20 anni, di etnia rom, che nella notte si è impiccato nella sua cella della sezione osservazione del carcere di Castrogno, dove si trova ristretta anche la mamma, colta da malore, e ora piantonata in ospedale”, ha detto Gennarino De Fazio, Segretario Generale della UILPA Polizia Penitenziaria, nel comunicare la notizia della morte. Dalle prime informazioni il giovane si sarebbe ucciso in bagno. La scoperta alle 5.40. Allarme dato dalla polizia penitenziaria. Sul posto il 118 ma non c’era più nulla da fare. Alcuni attivisti e familiari di altri detenuti, raccontano che, quando si è diffusa la notizia della morte di Patrick, gli altri reclusi hanno iniziato a protestare.

Il sospetto della famiglia

L’Associazione Sbarre di Zucchero ha raccolto lo sfogo dei familiari di Patrick: “Oggi mio nipote avrebbe compiuto 20 anni amava la vita e la libertà e non avrebbe fatto mai un gesto del genere, era il ragazzo più buono del mondo e non avrebbe fatto mai del male a nessuno”, ha detto lo zio Fabio. “Mia sorella ha visto il figlio, perché purtroppo anche lei stava nello stesso carcere, e quando glielo hanno fatto vedere mio nipote non aveva la faccia nera ne graffi sul viso e ne sulle mani ma aveva il giubbino strappato, maglia strappata e occhiali intatti: chi si impicca e porta gli occhiali automaticamente gli occhiali cadono e si rompono invece no. In più era in isolamento, guardato a vista e chi è stato in carcera sa che chi va in isolamento ti tolgono perfino i lacci delle scarpe oltre alla cinta e tutto il resto per non farti del male. Mio nipote aveva la testa fracassata”. Questi i sospetti riportati dalla famiglia addolorata e che saranno certamente chiariti nelle prossime ore. L’Associazione Sbarre di Zucchero si è stretta al dolore della famiglia di Patrick che chiede a gran voce di fare chiarezza il prima possibile.

Chi era Patrick Guarnieri

Lo zio ha raccontato che Patrick aveva 9 patologie ma ancora tutta la vita davanti. Una situazione familiare complessa, era cresciuto con i nonni materni, ai quali era stato affidato. Secondo quanto riportato da una relazione medica del 2017, Patrick era affetto da “sordità bilaterale sin dalla tenera età corretta parzialmente da protesi acustiche. In conseguenza di ciò ha sviluppato anche disturbo nel linguaggio e difficoltà nell’apprendimento”. Dal referto si evince che da bambino Patrick era anche stato operato all’orecchio ma senza aver ottenuto risultati per l’udito.
Nello stesso referto, si legge che nel 2016 era già stato visitato dallo stesso medico che ne accertava l’invalidità civile: “Patrick è stato riconosciuto come minore invalido con difficoltà persistente a svolgere compiti e funzioni proprie della sua età e con diritto all’indennità di frequenza”.

Tale riconoscimento è stato dato per la diagnosi: “profonda ipoacusia bilaterale (sordomuto) disturbo dell’attenzione e iperattività”. Una diagnosi che Patrick aveva già avuto all’età di 8

anni. All’epoca della stesura del referto, il giovane aveva 13 anni. Il medico alla fine scriveva che Patrick “fa intendere il desiderio di vedere la madre in casa, di cui patisce molto la mancanza”. Pertanto segnalava “ansia da separazione per assenza in casa della mamma” che all’epoca era detenuta a Chieti.

Non è chiaro ancora cosa sia successo a Patrick e quelli della famiglia sono per ora solo sospetti che la famiglia non ha ancora denunciato. Ma un fatto è certo: Patrick era un ragazzo fragile e sicuramente il carcere non ha migliorato la sua situazione già precaria. “Uno sbaglia sì, ma non pagando con la propria vita e poi Patrick era davvero un bravissimo ragazzo sempre allegro non avrebbe fatto mai del male a nessuno e poi con incompatibilità al regime carcerario”, ha detto il cugino.

La drammatica conta delle vittime

Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria, dopo la notizia della morte di Patrick ha commentato che “dall’inizio dell’anno sono dunque 27, 24 detenuti e 3 appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, i suicidi in ambito carcerario, in un bollettino che appare inarrestabile anche per l’inerzia e l’inezia della politica che ha governato almeno nell’ultimo ventennio. E non pervengono, peraltro, segnali confortanti neppure dall’esecutivo in carica”. De Fazio chiede quindi che “l’Esecutivo Meloni batta un colpo: subito un deflazionamento della densità detentiva per ridurre il surplus di reclusi di oltre 14mila unità e assunzioni straordinarie e accelerate nella Polizia penitenziaria, mancante di almeno 18mila unità. Parallelamente, riforme strutturali e riorganizzative. Non si possono continuare a contare asetticamente i morti”.

Redazione L’Unità
di Rossella Grasso

 

 

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