Il primo Macintosh della storia

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(TNS via ZUMA Wire - ANSA)

Quarant’anni fa Apple presentò il computer che fece un pezzo di storia dell’informatica, e il motivo per cui il 1984 non fu come “1984”, almeno secondo Steve Jobs

Il 24 gennaio di quarant’anni fa un parallelepipedo di plastica beige grande più o meno quanto una scatola da scarpe cambiò in modo significativo la storia dell’informatica. Era il Macintosh, un computer all’apparenza come molti altri prodotti dell’epoca, ma realizzato con un obiettivo ambizioso: rendere i computer davvero personali, strumenti di lavoro e svago per tutti, portandoli fuori dal regno degli hobbisti all’epoca spesso più interessati al funzionamento dei componenti rispetto a ciò che potesse fare un dispositivo.

Il Macintosh ebbe alti e bassi commerciali e Apple non vinse da subito la propria scommessa, ma fu in quell’inverno del 1984 che mise le basi per il proprio successo e per diventare una delle società tecnologiche più ricche e potenti al mondo.

Verso la fine degli anni Settanta Steve Jobs, il cofondatore di Apple, era rimasto molto colpito dalle cose che aveva visto durante una visita al Xerox PARC, il centro di ricerca e sviluppo della società Xerox a Palo Alto, in California. In particolare aveva osservato con ammirazione lo Xerox Alto, un computer che al posto di avere solamente un sistema per digitare i comandi in modo testuale aveva una vera e propria interfaccia grafica, come quella dei computer che usiamo oggi con icone, finestre e oggetti su cui cliccare attraverso un puntatore. Offriva possibilità d’uso molto più intuitive rispetto a scrivere comandi testuali e Jobs decise che il Lisa, un nuovo modello di computer cui stava lavorando Apple, dovesse avere un’interfaccia grafica, anche se all’epoca non c’erano ancora processori potenti a sufficienza per gestirla in modo pratico (lo Xerox Alto aveva bisogno di circuiti che occupavano un mobiletto grande più o meno quanto un minibar).

Lo sviluppo di un processore più potente da parte di Motorola nel 1979 cambiò le cose, rendendo praticabile la strada dell’interfaccia grafica per il Lisa. Più o meno nello stesso periodo l’informatico Jef Raskin aveva convinto i dirigenti di Apple ad affidargli un progetto sperimentale per provare a costruire un computer poco costoso per il mercato di massa. Ne era nato un progetto segreto chiamato “Annie”, ma Raskin riteneva che fosse una scelta sessista attribuire a dei computer nomi di donna e quindi decise di cambiarlo, partendo dal nome della varietà di mela che preferiva: la McIntosh. C’era però un’azienda attiva nel settore dell’audio che già si chiamava così e Raskin decise di apportare una modifica al nome, pur mantenendo il modo in cui suonava e nacque la parola Macintosh. Ancora oggi i computer di Apple sono i “Mac”, proprio in ricordo del dispositivo che più di altri segnò la storia dell’azienda.

Raskin voleva mantenere bassi i costi, di conseguenza aveva pensato a un computer senza interfaccia grafica, con comandi di testo e tasti preimpostati sulla tastiera per inviare determinati comandi ed eseguire i programmi. Nel piccolo gruppo di lavoro non tutti erano però d’accordo e iniziarono a sperimentare la possibilità di inserire il nuovo e più potente processore di Motorola nel Macintosh, in modo che potesse avere la capacità di gestire un’interfaccia grafica. La modifica avrebbe fatto aumentare in modo significativo il prezzo finale del computer e Raskin non era d’accordo, perché riteneva che l’unica possibilità di successo fosse offrire un prodotto poco costoso e accessibile a molte persone.

Jobs fino ai primi anni Ottanta si era tenuto relativamente alla larga dal progetto, perché era coinvolto nello sviluppo del Lisa, dal quale sarebbe stato allontanato nel 1982 per le sue continue proposte di fare le cose diversamente e apportare modifiche. Lavorare con Jobs infatti non era semplice: aveva giudizi sempre molto forti, insultava il lavoro degli altri e aveva un atteggiamento sprezzante. Fu quindi inevitabile che Raskin lasciasse il progetto del Macintosh quando Jobs iniziò a interessarsene e a dedicarci buona parte del proprio tempo, sostenendo che Apple non dovesse preoccuparsi di produrre un computer economico, ma il miglior computer possibile.

Alcune delle scelte sostenute da Jobs furono comunque molto importanti per rendere il Macintosh un computer memorabile, nel bene e nel male, e per differenziarlo dai PC che la grande azienda informatica IBM aveva iniziato a produrre e vendere proprio in quegli anni. Le continue proposte di modifiche e miglioramenti ebbero però l’effetto di ritardare lo sviluppo del Macintosh di quasi un anno, mentre Apple cercava di barcamenarsi con le vendite del Lisa.

Il progetto del Macintosh divenne ufficialmente noto nell’autunno del 1983, quando Apple pubblicò un inserto promozionale in diverse riviste di settore per anticipare caratteristiche e funzionalità del nuovo computer. Jobs voleva che al momento del lancio, previsto per la fine di gennaio del 1984, non si parlasse d’altro e lavorò a una campagna promozionale su più fronti. Oltre alla pubblicità sulle riviste, alla promozione all’interno della rete vendita di Apple e alle interviste in esclusiva per raccontare il nuovo computer, decise che fosse necessario trasmettere una pubblicità di forte impatto nel corso del Super Bowl, il seguitissimo evento sportivo di football che si sarebbe tenuto il 22 gennaio, due giorni prima della presentazione del Macintosh.

La realizzazione fu affidata al regista Ridley Scott, che produsse uno spot entrato nella storia della pubblicità. Scott si ispirò alle ambientazioni distopiche del suo recente film di successo Blade Runner per produrre “1984”, uno spot con un forte riferimento al romanzo di George Orwell 1984, in cui immaginò una società dominata dal totalitarismo del Grande Fratello. Nella pubblicità, una donna scagliava una mazza contro uno schermo in cui veniva trasmesso un discorso del Grande Fratello. Lo spot si concludeva con la scritta: «Il 24 gennaio, Apple introdurrà il Macintosh. E vedrete perché il 1984 non sarà come 1984».

Inizialmente i dirigenti di Apple non volevano saperne di trasmettere lo spot: lo giudicavano troppo cupo e diverso da tutte le altre pubblicità, senza contare che nelle scene non si vedeva mai il nuovo prodotto. Jobs insistette e ottenne alla fine il sostegno necessario per fare trasmettere lo spot in uno dei costosissimi intervalli del Super Bowl.

Per Jobs il Grande Fratello era IBM che con i suoi computer tutti uguali e senza particolari idee stava uniformando il panorama dell’informatica, mentre la ragazza che lottava contro quel totalitarismo informatico era Apple con il suo nuovo Macintosh. Era un’analogia potente e che poteva fare una certa presa, anche se in realtà i computer IBM e quelli compatibili con IBM potevano essere modificati a proprio piacere, mentre il Macintosh era un sistema completamente chiuso e incompatibile con gli altri PC. Oggi Apple controlla una parte importante del mercato degli smartphone con i suoi iPhone e ha un valore di mercato di oltre 3mila miliardi di dollari, quasi venti volte il valore di mercato di IBM.

La presentazione ufficiale del Macintosh avvenne il 24 gennaio 1984 all’auditorium Flint del De Anza College di Cupertino, in California. Jobs salì sul palco e iniziò elencando tutti gli errori che a suo modo di vedere aveva compiuto IBM nei precedenti trent’anni, disse che ora però l’azienda voleva occupare l’intero mercato dei computer e che Apple era l’unica speranza per contrastarla. Su un grande schermo fu proiettato lo spot andato in onda durante il Super Bowl, poi Jobs raggiunse un altro punto del palco e disse: «Ora vi voglio mostrare il Macintosh in carne e ossa». Tirò fuori il computer da una borsa, collegò la tastiera e il mouse, poi con fare teatrale estrasse da una tasca un floppy disk e lo inserì all’interno del computer, premette un tasto e iniziò la presentazione sulle note della colonna sonora del film Momenti di gloria.

Jobs era visibilmente nervoso, la sera prima le prove erano state difficili, aveva dato in escandescenze e c’era il rischio che la presentazione si inceppasse proprio quando l’attenzione intorno al nuovo computer era massima. Filò invece tutto liscio e il pubblico poté osservare con stupore le capacità grafiche del Macintosh, con intuizioni e accorgimenti mai visti prima sullo schermo di un computer. Icone, finestre, programmi di grafica, editor di testo e animazioni che per l’epoca apparivano rivoluzionarie, soprattutto ai non impallinati e ai non addetti ai lavori, cioè a coloro i quali si stava rivolgendo Apple con quel nuovo prodotto.

Ci furono continui applausi, ma Jobs aveva ancora una sorpresa: «Di recente si è parlato molto del Macintosh, ma oggi per la prima volta voglio che sia Macintosh a parlare di sé». Schiacciò il pulsante del mouse e una voce metallica proveniente dal computer fece sì che il Macintosh si presentasse da solo. «Ciao, sono Macintosh», disse, e poi ancora: «Non sono abituato a parlare in pubblico, ma desidero condividere una massima che mi è venuta in mente quando ho incontrato per la prima volta un computer IBM: mai fidarsi di un computer che non riesci a sollevare». Ci fu un altro grande applauso, la presentazione fu ripresa dalle televisioni e Jobs aveva ottenuto che in quei giorni non si parlasse praticamente d’altro.

Apple mise in vendita il Macintosh a poco meno di 2mila dollari dell’epoca (circa 6mila dollari odierni), ma fu poi costretta a rivedere il prezzo portandolo a 2500 dollari. Il computer costava molto di più di quanto avesse inizialmente immaginato Raskin quando aveva avviato il proprio progetto e molti si chiesero se fosse innovativo a sufficienza da giustificare quel prezzo, rispetto ai computer della concorrenza spesso meno costosi.

Dopo gli entusiasmi dei mesi iniziali, le vendite del Macintosh iniziarono a peggiorare sensibilmente nella seconda metà del 1984. L’interfaccia grafica mostrata sul suo schermo in bianco e nero era una novità importante, quasi avveniristica, ma richiedeva molta più potenza di calcolo rispetto a un computer classico con i comandi testuali. Il Macintosh era lento e inoltre non aveva un disco rigido, di conseguenza si dovevano di continuo sostituire i floppy disk per effettuare operazioni come la copia e il salvataggio dei file. Jobs aveva inoltre preteso che il computer avesse un sistema di raffreddamento passivo quindi senza una ventola che estraesse l’aria calda, perché era convinto che il rumore delle ventole creasse fastidi e distrazioni agli utenti. Il risultato era che spesso i componenti del Macintosh si surriscaldavano, rallentando ulteriormente la sua velocità e portando talvolta alla bruciatura di qualche elemento, tanto da guadagnarsi il soprannome di “tostapane beige”.

A quasi un anno di distanza dalla presentazione, il Macintosh vendeva poco meno di 10mila unità al mese, molto meno di quanto aveva inizialmente sperato Jobs. Apple provò allora a vendere le scorte invendute del Lisa cambiandogli nome in Macintosh XL, con un sistema che emulava il software del Macintosh originale. La decisione non piacque a molte persone all’interno dell’azienda, sia perché veniva spacciato un prodotto per un altro, sia perché si rischiava di danneggiare il nuovo marchio e le sue potenziali evoluzioni future.

All’inizio del 1985 Jobs pensò che fosse arrivato il momento di una nuova campagna pubblicitaria che ricalcasse il successo di “1984”, in modo da rilanciare le vendite. Il nuovo spot fu affidato a Tony Scott, il fratello di Ridley Scott, e l’esito fu disastroso. La pubblicità si intitolava “Lemmings” e faceva riferimento alla leggenda metropolitana sul presunto comportamento suicida dei piccoli roditori artici che si chiamano lemmini.

Nello spot si vedevano manager d’azienda che marciavano verso l’orlo di un burrone dove sarebbero morti, a mostrare quale sarebbe stata la loro fine se avessero continuato a conformarsi all’acquisto di computer IBM. Molti dirigenti d’azienda si sentirono insultati da uno spot che sembrava essere più contro di loro che per loro e non aiutò certo con le vendite dei Macintosh.

Le difficoltà intorno al nuovo computer furono una delle principali cause dei dissapori all’interno della società tra l’allora amministratore delegato John Sculley e Steve Jobs, che alla fine nel 1985 lasciò Apple pensando di poter sviluppare un nuovo tipo di computer con la sua nuova società NeXT. Jobs sarebbe tornato in Apple nel 1997 come CEO della società e fu l’artefice dei più grandi successi dell’azienda, dal rilancio dei Mac agli iPod e fino agli iPhone e agli iPad.

Tra alti e bassi il Macintosh ebbe un ruolo molto importante non solo nella storia di Apple, ma anche in quella dell’informatica. Non fu il primo computer in assoluto ad avere un’interfaccia grafica o il primo pensato soprattutto per un uso domestico e in ufficio, così come non fu il primo computer ad avere un mouse. È però opinione diffusa che il Macintosh fu il primo vero caso di un computer accessibile non solo agli impallinati e agli hobbisti, ma anche alle persone comuni senza particolari conoscenze tecnologiche in un’epoca che era molto diversa dalla nostra e con un’alfabetizzazione informatica estremamente bassa.

A differenza degli altri computer che richiedevano di conoscere comandi testuali, spesso con complicate sequenze, il Macintosh offriva un ambiente tutto sommato familiare e intuitivo con icone su cui cliccare, menu a tendina e la possibilità di trascinare gli oggetti virtuali e modificarli. Questa interfaccia non era appunto una novità, ma era stata semplificata e resa più pratica da utilizzare. Il sistema chiuso, con una forte integrazione tra hardware (i componenti del computer) e software (i programmi), riduceva enormemente le variabili e il rischio che qualcosa potesse andare storto come accadeva invece con i computer assemblati dagli appassionati. Per contro, il Macintosh non poteva essere personalizzato o potenziato, era un sistema totalmente chiuso.

L’approccio dell’alta integrazione tra hardware e software in sistemi su cui non si può praticamente intervenire sarebbe diventato negli anni un punto centrale delle strategie di Apple, sia dal punto di vista commerciale sia per lo sviluppo di nuovi sistemi innovativi sui quali mantenere il massimo del controllo. Steve Jobs era convinto che alle persone interessasse fare le cose con un computer, disinteressandosi completamente di come le facesse. Come disse in una delle interviste concesse poco tempo dopo lo storico lancio del Macintosh: «La maggior parte delle persone non ha idea di come funzioni un’automobile con il cambio automatico, eppure sanno come guidare un’auto. Non devi studiare la fisica per capire le leggi del moto che sottendono alla guida di un’automobile. Non devi capire nessuna di queste cose per usare un Macintosh».

Redazione Il Post

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