«È andato tutto bene. Il robot ha fatto per intero il suo dovere. Poche ore fa abbiamo restituito l’udito a una bambina siciliana di due anni e mezzo, affetta da una sordità bilaterale. L’inserimento dell’elettrodo acustico nelle due orecchie è stato soft, come una carezza. Nessun trauma invasivo. Nessuna infiammazione. Sappiamo con certezza che anche gli eventuali successivi interventi, necessari per perpetuare all’infinito la facoltà uditiva, fileranno lisci, grazie al robot, come se a operare fosse una mano di velluto.
È la prima volta che in Italia viene effettuato un intervento otologico bilaterale su un bambino con l’ausilio determinante di un robot. Fra quindici giorni la bambina potrà ascoltare per la prima volta le voci dei genitori e del mondo. La mamma è scoppiata in un pianto dirotto di felicità. Ho provato anch’io, a parte la soddisfazione professionale, la gioia infinita di aver restituito l’udito a una bambina, che aveva sino a quel momento vissuto in un mondo ovattato, senza né suoni né rumori».
Una novità tecnologica di eccezionale impatto, che sembra futuribile ed è, invece, da martedì 31 ottobre, una realtà concreta e funzionante. Una rivoluzione fantascientifica, che consente, con esiti senza procedenti, di sconfiggere chirurgicamente la sordità, nello specifico dei bambini. Un robot perfettamente attrezzato è appena sbarcato nella sala operatoria dell’Unità Operativa Complessa di Otorinolaringoiatria e Centro di Riferimento Regionale per gli impianti cocleari in età pediatrica del Santobono-Pausilipon di Napoli, diretto dal professor Antonio Della Volpe, che della piattaforma senza eguali al mondo è l’ideatore in primis e il propulsore. «È il primo robot al mondo che viene utilizzato nella chirurgia otologica. Il vantaggio di un robot negli interventi, che mirano a ripristinare l’udito dei sordi, consiste nella sua altissima precisione e mininvasività nell’introduzione di un elettrodo che ha un diametro di un millimetro e una lunghezza di venti, da inserire in una microstruttura, qual è la coclea, la cui dimensione varia fra i venticinque e i trenta millimetri. Questa delicatissima operazione richiede una precisione esasperata, che i micromovimenti involontari della mano umana non permettono al cento per cento. Il robot consente, invece, di effettuare interventi con una precisione e un’accuratezza mai viste prima, scongiurando il rischio di un danneggiamento, più o meno grave, della struttura particolarmente sensibile della coclea, ovvero della parte più interna dell’orecchio».
Qual è nello specifico il ruolo del chirurgo?
«Il chirurgo porta avanti in autonomia tutta la parte preliminare dell’intervento. È solo nel momento clou, qual è quello dell’inserimento dell’elettrodo nella coclea, una microstruttura di complicatissima penetrazione, che gli viene in soccorso il robot. Sino a ora, anche questa parte conclusiva dell’intervento veniva eseguita manualmente, con il rischio che il minimo tremore, che non aveva in sé niente di patologico, ma era solo la conseguenza dei piccolissimi movimenti spontanei della mano umana, potesse danneggiare le cellule ciliate, che sono le terminazioni nervose interne alla coclea, che consentono la trasmissione e la ricezione del suono, che viene trasformato in un’onda elettrica. Il robot altro non fa che introdurre l’elettrodo in modo automatico, senza procurare danno alcuno alle cellule. Il risultato finale è nettamente superiore a quello che si otteneva avvalendosi, dal principio alla fine, soltanto delle mani».
Come nasce l’idea del robot?
«Non nasce dal nulla, ma da anni di tentativi di rendere meno complicata e rischiosa la delicatissima fase finale dell’introduzione dell’elettrodo nella coclea. Nella chirurgia della sordità si gioca inevitabilmente su quasi impercettibili differenze fra gli accessi concretamente possibili e fra un intervento e l’altro».
Credo siano tutti curiosi di sapere quale aspetto abbia questo robot venuto sulla terra per sconfiggere la sordità dei bambini?
«Il robot non è neppure troppo ingombrante. Ha una base snella e un braccio che viene comandato attraverso un joystick».
Chi è preposto al joystick e muove di fatto il braccio del robot?
«Naturalmente il chirurgo. Normalmente tutti gli interventi chirurgici dell’orecchio si fanno stando seduti. Il chirurgo in questo caso ha al suo fianco un joystick che gli permette di gestire a suo piacimento i movimenti del braccio tecnologico in forza al robot. La mano dell’uomo conserva, almeno a tutt’oggi, un suo ruolo fondamentale. Il robot, abbandonato a sé stesso, non solo non farebbe miracoli, ma non saprebbe neppure da dove cominciare».
Redazione Napoli Corriere