«Ho capito ogni mio errore, bisogna accettare tutte le persone, non conta la razza la pelle o il colore, ma avere il rispetto per primo valore” recita una delle strofe di Crisalide, singolo uscito nel 2020. Ranzy, all’anagrafe Andrea Randazzo, non infarcisce i suoi testi delle immagini stereotipate del rapper 2.0 – violenza, rapine e droga – non si vergogna di parlare di tematiche sociali e non cerca di atteggiarsi per quello che non è. È consapevole che la vita in alcune occasioni può metterti alla prova, facendoti crollare ma che non per questo si è legittimati a sputarci sopra. Tutt’altro. “Mia mamma è scomparsa quando avevo solo 17 anni per un tumore al seno dopo anni di lotta. È stato un trauma il periodo appena successivo: ero entrato in depressione e non riuscivo a sollevarmi ma è cimentandomi nella musica che sono rinato. Era mia mamma che ancora una volta mi ha preso per mano”.
Le prime battle di rap a Busto Arsizio, i primi ko, e le prime difficoltà. Tutto nella norma per chi come lui decide di intraprendere una carriera nel mondo discografico ma non per chi come lui è affetto da ipoacusia unilaterale e sente solo da un orecchio. “Ho fatto fatica ma con gli anni ho imparato ad apprezzare la vita in tutti i suoi lati, anche i più oscuri”.
Dalla sua storia personale è nata una sorta di missione nei confronti del rapper sociale: un cantante che denuncia la violenza sulle donne, il bullismo e che parla di depressione. I suoi interlocutori sono giovanissimi, ma anche mamme e papà, che cercano di trovare nei suoi pezzi delle risposte al comportamento dei figli o addirittura un mezzo per avvicinarli al linguaggio dei millenials. Per arrivare forte e chiaro al suo pubblico non si preoccupa di inserire nei video immagini potenti, come in “Diamante“, brano in cui esplicita la violenza subita da una donna “Alla fine, però, anche di fronte ad un dramma del genere si può tornare a sorridere, c’è sempre una via di uscita”. Questo suo impegno verso il mondo femminile l’ha portato ad avere parecchio riscontro sui social e ad essere scelto da Jo Squillo per partecipare a numerosi show e spettacoli organizzati dalla sua onlus “Wall of Dolls“ contro la violenza sulle donne. Il suo impegno, però, non si ferma al mondo della musica. “Per arrivare ai ragazzi, devi parlare la loro stessa lingua. Per questa ragione ho tenuto un corso sulla terminologia dei rapper ai giovani che frequentano la scuola superiore e l’università presenti alla croce rossa di Pavia. Vorrei far capire loro che spesso chi grida frasi ricche di violenza e si atteggia da criminale, non viene davvero dalla strada. Chi ha l’opportunità di cambiare vita, lo fa senza pensarci due volte”.
da Il Giorno – Bergamo