di Andrea Priante
La scuola deve garantire a tutti gli studenti la possibilità di apprendere e di interagire con il proprio insegnante. Anche ai ragazzi che hanno delle gravi disabilità. Con questa prospettiva, il Tar del Veneto non solo ha ordinato al ministero dell’Istruzione di fornire a una studentessa un interprete della lingua dei segni, ma di farlo per l’intero arco delle lezioni. E già questo, per chi ha figli con problemi, suonerà come una rivoluzione.
Si dovranno trovare i fondi
Ma ora, visto che l’istituto non si adeguava a questa decisione, i giudici hanno «commissariato» il ministero e l’Ufficio scolastico regionale, nominando un funzionario con l’incarico di assicurarsi che la sentenza venga finalmente eseguita «compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio a carico dell’amministrazione». Insomma, in un modo o nell’altro si dovranno trovare i fondi necessari a garantire all’alunna la presenza in classe «di una figura esperta nella lingua Lis per l’intero orario scolastico e di poter usufruire di testi semplificati idonei a poter essere mediati nella lingua dei segni».
«Veniva vista come una disabile»
La vicenda è quella di Lisa, una ragazzina trevigiana di 15 anni colpita da «disprassia verbale», una forma di mutismo che le rende complicato comunicare con le persone senza l’aiuto di un interprete. «Mia figlia è molto intelligente ma la scuola si è dimostrata un ambiente complicato per lei, che veniva vista come una disabile e non come una ragazza con il desiderio, le capacità, ma soprattutto il diritto di apprendere» spiega la mamma che, con il marito, ha deciso di ingaggiare una battaglia legale perché lo Stato le garantisca l’opportunità di studiare. «Questo non è stato possibile: fin dalle elementari le venivano assegnati insegnanti di sostegno ma solo per alcune ore la settimana e spesso non conoscevano neppure la lingua dei segni. Pur di consentirle di apprendere e comunicare, siamo arrivati a fornire noi stessi gli operatori alla scuola, pagandoli di tasca nostra».
Solo 18 ore a settimana
Lo scorso anno la famiglia di Lisa si era rivolta al Tar. «Abbiamo ottenuto una prima, importante, vittoria – racconta l’avvocato della famiglia, Rodolfo Romito – con il tribunale che annullò il piano educativo predisposto dalla scuola media di Treviso frequentata dalla ragazza e accertò il suo diritto a essere affiancata da una figura esperta nella lingua dei segni per l’intero orario scolastico». Dunque, tutto risolto? Macché. Da settembre a giugno «si è registrata la perdurante scopertura di orario Lis e la mancanza di coordinamento tra il docente di sostegno, gli insegnanti e l’operatore messo a disposizione» si legge nella nuova sentenza con la quale i giudici del Tar di Venezia sono dovuto tornare sul caso di Lisa. In pratica alla studentessa è stato fornito il supporto di uno specialista soltanto per diciotto ore la settimana (peraltro messo a disposizione dalla famiglia, e non dalla scuola) mentre per le altre lezioni non c’era nessuno a fare da «ponte» tra l’insegnante e la ragazza, costretta quindi a restare a casa o ad ascoltare lezioni per lei incomprensibili.
Sessanta giorni
Il problema è anche burocratico: il regolamento prevede che la sostituzione dell’operatore «scatti solo dal quinto giorno di assenza» col risultato che basta un piccolo imprevisto, o una malattia, perché a Lisa venga negata la possibilità di comunicare. Al Tar è stata consegnata una relazione nella quale la scuola «ha sostanzialmente confermato che dal punto di vista pratico si è rivelato difficile assicurare la copertura delle ore». Per il tribunale è quindi «provato che nel corso dell’anno, nonostante lo sforzo profuso dall’istituto (…) non è stata data piena attuazione alla sentenza». Per questo motivo ora i giudici hanno nominato un commissario che entro sessanta giorni avrà il compito di assicurare alla studentessa il pieno supporto di cui ha bisogno.
Il futuro all’alberghiero
Nel frattempo Lisa ha superato l’esame di terza media. «Speriamo che la sentenza trovi piena applicazione all’istituto alberghiero che frequenterà da settembre», conclude la mamma. «Mia figlia sogna di aprire un locale accessibile a tutti, anche a chi soffre di disabilità, ma il suo futuro passa attraverso il riconoscimento del diritto allo studio. È la nostra battaglia, mia e di mio marito. Ma è anche quella di tanti genitori che devono fare i conti con un sistema-scuola che troppo spesso vede nella disabilità un ostacolo insormontabile».