Pensioni, lo “scivolo” per le uscite anticipate è lo strumento per risparmiare su Quota 41

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Storia di Gian Maria De Francesco

Il confronto tra il governo e i sindacati sulla riforma del sistema previdenziale proseguirà nelle prossime settimane per concludersi a settembre nell’imminenza del varo della legge di Bilancio. Il vertice clou, come annunciato dal segretario generale Cisl Luigi Sbarra, è previsto il 18 luglio con la discussione sulla flessibilità in uscita e sugli esodi anticipati (e, soprattutto, incentivati). Ieri il vicepremier Matteo Salvini ha ribadito che «Quota 41 è un obiettivo assolutamente da raggiungere». Il problema è nel costo che, visto il progressivo invecchiamento della popolazione, raggiungerebbe a regime i 10 miliardi di euro dopo uno sfasamento iniziale di 5 miliardi di extracosti. Per il ministro del Lavoro, Marina Calderone, è una bella gatta da pelare. Da un lato nel 2022 la spesa per pensioni – come comunicato ieri dall’Inps – è aumentata del 3,8% annuo a 283 miliardi (e dal primo luglio scattano gli adeguamenti all’inflazione). Dall’altro lato, il bilancio del prossimo anno – con il rientro in vigore del Patto di stabilità – si porterà in doti 22 miliardi di costi legati al Superbonus 110%, riducendo ulteriormente i margini per gli interventi.

Tra le proposte avanzate al tavolo di confronto c’è anche il potenziamento dell’isopensione, ossia lo «scivolo» pensionistico che consente ai lavoratori del settore privato che rientrano nei parametri di vecchiaia (67 anni con almeno 20 di contributi) e di anzianità contributiva (42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne) di anticipare l’uscita dal lavoro da 5 a 7 anni previo accordo aziendale stipulato con il ministero del Lavoro. In alcuni casi tali intese vengono strette anche sotto forma di «contratti di espansione», cioè garantendo nuove assunzioni in ragione di ogni 2 o 3 dipendenti che escono dall’azienda.

L’esempio di maggiore successo è quello del settore bancario italiano che ha costituito presso l’Inps il Fondo di solidarietà. In pratica, gli istituti di credito raggiungono l’accordo per l’interruzione del rapporto di lavoro con i dipendenti coinvolti e pagano sia il 90% circa della retribuzione e i contributi figurativi mancanti fino al raggiungimento della pensione. Dal 2010, segnala Fabi (principale sindacato di categoria), sono stati accompagnati all’esodo volontario circa 90mila dipendenti, assumendo contestualmente circa 40mila giovani under 35, grazie a un altro strumento, il Fondo per l’occupazione, che viene alimentato da tutti i 280mila dipendenti bancari; anche in questo caso senza oneri per le casse dello Stato. Secondo Il Sole 24 Ore, gli istituti di credito avrebbero speso circa un miliardo all’anno per coprire le circa 7.500 uscite che si registrano in media.

Considerati i costi, è normale ipotizzare che la misura sia più attuabile dalle grandi imprese che hanno maggiore disponibilità economica. Non a caso Tim e Leonardo, che hanno programmato il ricorso a questa misura, sono veri e propri colossi. In Italia i dipendenti delle grandi aziende sopra le 250 unità (in grado di sostenere l’impatto economico) sono circa un milione e, dunque, portare le uscite con l’isopensione dalle 5mila attuali al doppio potrebbe costare circa 1,5 miliardi di euro. L’intervento dello Stato, in tal caso, dovrebbe essere superiore, ai 50 milioni circa stanziati annualmente fino a oggi, ma di gran lunga inferiore a quello atteso per Quota 41. Il sollievo per i conti pubblici sarebbe evidente.

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