di Laura Valdesi – La Nazione
Siena, 1 marzo 2023 – E’ riuscito a metterli tutti d’accordo, pazienti e operatori sanitari. Nel dipingerlo come un «prepotente e prevaricatore». Aggressivo.
«La violenza fisica è niente rispetto a quella psicologica. Sembrava di essere tornati ai tempi delle streghe», le parole di un ospite della residenza speciale per disabili ’Santa Petronilla’, fuori porta Camollia. Lette in tribunale dal pubblico ministero Serena Menicucci che ha ricostruito una delle pagine più brutte, se i fatti verranno confermati, dell’assistenza a Siena nei confronti di persone bisognose di aiuto. Costrette invece a vivere nella paura da un ormai ex infermiere di 44 anni, originario della Campania ma residente nel Senese, licenziato dalla struttura.
Il processo è alle battute finali: il pm ha chiesto la condanna a 4 anni. Poi hanno parlato le parti civili. La sentenza arriverà la prossima udienza. «Non ho mai aggredito né fisicamente, nè verbalmente le persone. Avere questa accusa – ha detto l’imputato nelle dichiarazioni spontanee – mi ha lacerato sia a livello familiare che psicologico. Non ho parole. Sono rimasto segnato da questa cosa».
Tre ospiti del Santa Petronilla, tutti uomini, sono stati ascoltati in forma protetta nel corso del processo riferendo i maltrattamenti. «Una perizia conferma la loro capacità a testimoniare», mette i primi tasselli dell’accusa il pm Menicucci. Descrivono botte e altri soprusi. «Rincoglionito, imbecille, pazzo», così venivano insultati a volte. «Violento», definisce il comportamento dell’infermiere un altro ospite. «Ci picchiava», ha riferito al giudice. Il pm spiega che l’operatore sanitario spronava uno dei pazienti a tirare i capelli o a dare degli schiaffi ad altri, con la promessa delle sigarette. Li metteva contro. «Uno dei tre ascoltati in forma protetta – prosegue il viaggio nell’inferno del Santa Petronilla il pm Menicucci – ha spiegato che il modo in cui gli praticava lui il clistere gli faceva vedere le stelle’. Poi bestemmie. Parolacce.
’Picchiava la gente, era cattivo con tutti’, ha riferito al giudice». A questo clima del terrore non erano immuni neppure i colleghi dell’ex infermiere. Che venivano insultati. Un’operatrice sanitaria appena arrivata fu subito ammonita: doveva rispettare le sue indicazioni altrimenti l’avrebbe fatta licenziare. Poi le battute sessiste. Ad un’altra per via del rossetto disse che poteva andare a lavorare in strada, a una terza operatrice disse che aveva mezzo cervello. «Uno dei pazienti con sindrome di down venne rinchiuso dall’imputato nel bagno, al buio di cui aveva terrore. Questo per sottolinearne il sadismo», dice il magistrato.
Gli avvocati delle parti civili non risparmiano colpi. Enrico De Martino, assiste la cooperativa che gestiva la struttura, va dritto al cuore della vicenda: la minorata possibilità di difendersi dei pazienti. «Tutte condotte avvenute in una struttura che rientrava nella parafamiliarità» aggiunge smentendo poi quanto detto in avvio dall’imputato: «Non c’erano le chiavi? Una testimone spiega che gli operatori possedevano passepartout che aprivano le porte».
«Vivere in un ambiente ristretto – ha sottolineato l’avvocato Carla Guerrini, – dove coloro che ti dovrebbero dare un sostegno diventano una sorta di carnefici è terribile». «Tanto è tutto inutile’, aveva detto il paziente parte civile con l’avvocato Daniele Bielli. Nel senso che gli sembrava impossibile che qualcuno li aiutasse. Invece c’è stato un processo e, fra qualche settimana, la sentenza