di Vincenzo Brunelli
Sorda, mezza cieca e sotto cure oncologiche, l’Inps le nega l’assegno ordinario di invalidità, nonostante percepisca la pensione di invalidità già dal 2011, per mancanza di contributi versati negli ultimi 5 anni. Il tribunale cittadino accoglie il ricorso di una donna di Lucca che avrà tutto ciò che le spetta dopo 5 anni di battaglie giudiziarie con un passaggio anche alla corte dei conti.
Quando la burocrazia perde di vista completamente aspetti umani e diritti consolidati per Cassazione. Prima perde completamente l’udito e dopo alcuni anni subisce due interventi per patologie oncologiche che riducono anche la sua capacità visiva, ma l’Inps le nega il diritto all’assegno ordinario di invalidità, richiesto dalla donna nel 2017, perché non aveva contributi versati negli ultimi 5 anni da tale richiesta.
Ma la donna aveva 22 anni di contributi versati e negli ultimi anni non ne aveva versati per motivi di salute e inoltre la Cassazione sul punto era stata chiara in alcune sentenze recenti. E qui il contenzioso (evitabile) ora risolto dal tribunale cittadino. Ma procediamo con ordine.
Dopo un passaggio alla Corte dei Conti ora il tribunale di Lucca ha condannato l’istituto a pagare alla donna l’assegno di invalidità dal 2017 ad oggi, più interessi, e a circa 7mila euro di spese di lite e di giudizio. La donna, difesa dall’avvocato Marco Dati, dopo 5 anni di battaglie giudiziarie avrà tutto ciò che le spetta. Dal 2011 era stata riconosciuta invalida con totale e permanente inabilità lavorativa nella misura del 100% e con diritto da parte sua alla percezione della percezione di pensione di invalidità civile ma nel 2015 era peggiorata e aveva subito due interventi chirurgici (uno di asportazione di un rene e l’altro all’encefalo) e da allora era in cura con terapie, anche sperimentali, per pazienti oncologici; nel 2016 la Commissione medica per l’accertamento dell’invalidità civile, delle condizioni visive e della sordità l’aveva nuovamente riconosciuta invalida con totale e permanente inabilità lavorativa 100%; e nel 2017, quindi, stante l’aggravarsi della sua salute aveva richiesto all’Inps anche l’assegno ordinario di invalidità, cumulabile con la pensione di invalidità che già percepiva.
La ricorrente ha evidenziato, in sede di causa, di non aver ricevuto alcuna risposta dal Comitato Provinciale di Inps riguardo al ricorso da lei avanzato avverso il provvedimento di reiezione della domanda amministrativa notificatole il 12 aprile 2017, così essendosi reso necessario il ricorso giudiziale si è dapprima rivolta alla corte dei Conti che hanno rinviato gli atti per competenza al tribunale di Lucca.
Il 10 ottobre scorso la sentenza a firma del giudice Alfonsina Manfredini che ha rigettato tutte le istanze dell’Inps giudicandole non fondate e dato ragione in toto alla donna. L’assegno ordinario di invalidità a differenza della pensione di invalidità segue alcuni criteri legati ai contributi versati e in particolare agli ultimi 5 anni. Ma la suprema corte di Cassazione ha già chiarito che quando negli ultimi 5 anni il o la ricorrente non ha potuto versare contributi per motivi esterni alla sua volontà e legati al suo stato di salute e quindi di incapacità lavorativa si deve attuare quella che viene definita in gergo “la neutralizzazione” dei contributi, e bisogna soltanto verificare se esistano o meno contributi versati per 5 anni, a prescindere da criteri temporali.
E nel caso della donna di Lucca questi requisiti esistevano. Si legge infatti in sentenza: “A fondamento delle proprie richieste ella ha dedotto che: aveva lavorato con rapporto di lavoro subordinato dall’1 luglio 1986 al 31 marzo 1995 (per complessive 456 settimane); si era iscritta alla gestione separata dal 2 dicembre 1996 come collaboratrice e aveva svolto l’attività dal 1998 al 2001 in modo non continuativo nei vari periodi annuali con versamento di contributi per periodi inferiori a 12 mesi annui;-dal 2002 al 2009 (compresi) aveva lavorato in modo continuativo, con versamento di contributi completi per ogni anno contributivo; dal 2010 la collaborazione con lo studio professionale dove lavorava era stata occasionale, saltuaria e non continuativa a causa dell’insorgere di una patologia del tutto invalidante”.
E infine: “La condizione di impedimento allo svolgimento di attività lavorativa nel caso in esame è comprovata da ampia certificazione medica proveniente da Aziende Ospedaliere e universitarie e dallo stesso Ente previdenziale”. Da queste motivazioni la sentenza favorevole alla donna. Nel processo è emerso che la donna aveva maturato ben 22 anni di contributi versati, tranne negli ultimi anni in cui il suo stato di salute si era aggravato. Ora avrà tutto ciò che le spetta, anche se decisamente in ritardo.