ORTIGIA – Quindici anni fa ha conosciuto i registi teatrali Ugo Giacomazzi e Luigi Di Gangi innamorandosi perdutamente del loro lavoro.
di Claudia Catalli – Redazione News Cinecittà
Da allora la casting director e documentarista palermitana Chiara Agnello, 48 anni, ha seguito i Teatri Alchemici che “sono partiti con un laboratorio con i ragazzi Down e hanno fatto crescere il gruppo come una compagnia teatrale fondata sul dadaismo e sul dawnismo”. Il risultato è nel suo documentario Dadalove, appena presentato all’Ortigia Film Festival. “Mi premeva raccontare la disabilità come un mezzo espressivo in più, che arricchisce uno spettacolo grazie alla ricerca infaticabile del metodo e dell’approccio, basato soprattutto sul lasciarsi andare al reciproco scambio emotivo”, racconta la regista a Cinecittà News.
Come si porta prima in scena e poi sullo schermo la disabilità?
Evitando ogni protezione, puntando sulla sincerità dei rapporti e ricordando sempre che si tratta di registi e attori, non educatori e disabili.
È vero che il progetto nasce da un altro progetto mai partito?
Verissimo, avrei dovuto seguire come casting director una grande serie tv, all’ultimo il regista non mi ha voluta. Quando ho saputo che avrei avuto cinque settimane libere sono andata dai miei genitori, a cui il documentario è dedicato, per farmi acquistare una telecamera. Sono stati i miei primi produttori, in seguito si sono aggiunti Angelita Castronovo e Antonino Moscat della WellSee Production.
Perché la disabilità è ancora un tabù nel cinema italiano?
In Italia siamo sempre gli ultimi in tutto, pensiamo al movimento #MeToo. C’è poi anche un misto di pudore e protezione da parte delle famiglie di ragazze e ragazzi disabili che temono che i figli possano essere offesi in qualche modo o mal raccontati.
Perché una casting director sceglie di lavorare con attori Down?
Perché dopo 15 anni di carriera e centinaia di provini, dopo aver insegnato recitazione e fatto workshop sul tema, il lavoro rischiava di diventare meccanico e volevo cambiare sguardo. Ogni volta che ho visto gli spettacoli di questi ragazzi mi hanno smosso sempre qualcosa di profondo dentro.
Dadalove racconta, di fatto, la ricerca dell’amore.
Il riferimento va a Romeo e Giulietta, anche per l’impossibilità dei ragazzi Down di vivere storie d’amore come vorrebbero. Nel film è forte il bisogno di questi ragazzi di esprimersi a livello di voce ma anche di corpo e di sessualità.
Sta già lavorando al prossimo documentario?
Sto finendo di girare per Sky Arte Gap: Art in prison, realizzato grazie a un bando europeo in collaborazione con l’università di Palermo, Saragozza e Colonia. Il tema è il gesto artistico durante la detenzione. Ho conosciuto tre artiste, hanno fatto laboratori nei tre carceri palermitani Pagliarelli, Ucciardone e Malaspina creando con i detenuti opere d’arte che rimanessero nei cortili di aria.
Che cosa le sta dando quest’esperienza?
Sto scoprendo che il carcere è un luogo pieno di energia dentro e di preconcetti fuori. Non è facile raccontarlo, certe sere torno a casa in lacrime, tra crisi di nervi e panico. Ma vale la pena immergersi in certi contesti sociali. Dove c’è un disagio io vado a raccontarlo. Dove c’è una fragilità sento di doverle dare voce.
Ricorda la lezione di Letizia Battaglia, palermitana anche lei.
È il mio modello, mi rivedo nella sua lotta per allargare mentalità e prospettive. È stata tenace e ha fatto una rivoluzione incredibile a Palermo, come donna innanzi tutto. È diventata un simbolo in tutto il mondo, non solo per le sue fotografie, ma per il suo stile di vita.
Pensa di debuttare nel cinema di finzione?
Sto finendo di scrivere il mio primo film di finzione, tratto da una storia vera successa a Palermo 13 anni fa, un delitto in cui la mafia non c’entra, c’entra però il mio tema perenne: gli ultimi, gli invisibili. Sarà un giallo, e un film corale.
Come casting director a quali sfide si dedica, invece?
Ho appena chiuso il casting di Roberto Andò per il suo progetto su Pirandello con Toni Servillo, Ficarra e Picone. Ha voluto fare una ricerca nella Sicilia più ancestrale, nei teatri più piccoli dove abbiamo scoperto talenti grandi. Deve uscire poi la serie Prisma di Ludovico Bessegato su Amazon Prime Video e a ottobre riprenderò la serie tv Rai di Michele Soavi sulle libere donne, storia vera di un manicomio femminile in Toscana durante la seconda guerra mondiale.
Ha mai pensato di raccontare in un film il suo lavoro da casting director?
In effetti sto lavorando anche su un documentario sul mondo del casting: al pubblico piace sbirciare i provini, c’è sempre dietro il sogno che possano cambiare la vita di chi li fa. Mi piacerebbe mostrare com’è veramente, come si fa un provino e tutti i retroscena di questo mondo.