Cultura dell’inclusione: quelle buone scuole che possono fare scuola

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di Annie Francisca e Michela Trigari
A liceo scientifico “Sabin” di Bologna i docenti hanno introdotto la Caa e la Lis. Il liceo artistico “Enzo Rossi” di Roma ha puntato sui laboratori e sul teatro integrato. Ecco le buone prassi che sostengono gli alunni con disabilità

ROMA – La tesina discussa l’anno scorso da L. è scritta con i simboli della Caa, la comunicazione aumentativa e alternativa che viene utilizzata per chi ha problemi di linguaggio. Ce l’ha voluta esporre di nuovo, spiegandola in lingua dei segni mentre veniva proiettata sulla lavagna luminosa. E si è emozionata ancora, come la prima volta che l’ha discussa davanti alla commissione d’esame e a suo zio, l’unico familiare che ha voluto e potuto assistere alla presentazione a causa del covid. L. è una studentessa del liceo scientifico “Sabin” di Bologna: è quasi sorda, in carrozzina e comunica attraverso un pc o la Lis. Ha frequentato l’indirizzo “scienze umane”, studiando su molti materiali didattici tradotti in simboli da docenti e compagni di classe e sostenendo le verifiche in Caa, e quest’anno prenderà l’attestato di competenze. Inoltre è anche all’interno del progetto “Tartaruga”: una collaborazione di esperienze integrate tra la scuola e il territorio ai fini di un futuro inserimento lavorativo in un contesto protetto. L. è una dei cinque studenti con grave disabilità che frequenta l’aula di integrazione Norelli: una stanza dotata di più pc con software ad hoc e materiali didattici autoprodotti dove gli alunni che fanno fatica a seguire le lezioni in classe possono sperimentare, per qualche ora al giorno, l’apprendimento one to one con l’insegnante di sostegno.
“Quest’aula è frequentata solo da studenti che hanno un piano educativo differenziato e prove non equipollenti”, precisa Silva La Deda, referente del gruppo di lavoro per l’inclusione del liceo scientifico. “Gli altri alunni con bisogni educativi speciali stanno in classe per la quasi totalità delle ore di lezione”.

Al “Sabin” ci sono 23 alunni con disabilità certificate e 74 studenti con disturbi specifici dell’apprendimento su quasi 1.600 iscritti, 13 docenti di sostegno e 12 educatori. È uno di quegli istituti che crede nelle buone prassi. “Cerchiamo di adattare la didattica alle capacità di ciascuno e di valorizzarle al meglio, o comunque il più possibile”, commenta Francesco Calzone, professore di scienze umane e promotore del progetto che ha portato la Caa a scuola, con tanto di corso di formazione per i docenti e gli educatori coinvolti. E quest’anno al “Sabin” è partito un altro progetto, “Senza parole”: un laboratorio di Lis rivolto a insegnanti e studenti atto a far imparare alcuni dei segni più comuni.
“L’idea è nata perché a scuola sono presenti due alunni, un dipendente ata (amministrativo tecnico ausiliario) e una ragazza in stage formativo sordi. Inoltre stavamo già insegnando la lingua dei segni anche a due studenti non verbali, così da esplorare altri canali per accrescere le loro modalità comunicative. Tanto valeva allargare la platea dei destinatari”, spiega Sabina Ciprelli, mediatrice Lis che fa parte di una cooperativa sociale che collabora con le scuole.

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“In pochi anni il liceo ‘Sabin’ ha raddoppiato la sua popolazione scolastica e di conseguenza è cresciuto anche il numero degli studenti con disabilità”, osserva la dirigente Rossella Fabbri. “L’anno scorso abbiamo fatto un corso di formazione per docenti sui bisogni degli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento e quest’anno lo faremo sulla gestione della classe con alunni con bisogni educativi speciali come ha raccomandato il ministero dell’Istruzione. Ma mantenere alta l’attenzione nei confronti degli alunni con disabilità è sempre stata una tradizione che caratterizza l’identità del nostro istituto, così come volere valorizzare gli insegnanti di sostegno più competenti e motivati. Perché è l’ambiente circostante che deve adeguarsi allo studente disabile per riuscire a mettere in evidenza le sue abilità e non viceversa. E se la scuola non diffonde tra i suoi ragazzi una cultura dell’inclusione, come farà la società, con i suoi cittadini di domani, a includere?”. Una scuola che include, però, non ha solo bisogno di essere priva di barriere architettoniche, ma ha bisogno anche di spazi adeguati, come per esempio una piccola stanzetta con il lettino e il sollevatore per chi ha bisogno di essere cambiato e non riesce a stare in piedi.

Intanto nell’aula Norelli gli studenti si alternano: M. inizia a scrivere in Caa al pc mentre T. si allena con le sillabe. La sua insegnante di sostegno ha preso dall’armadio una specie di gioco delle parole con le lettere. M.A., invece, sta iniziando a imparare a leggere e scrivere ora. Pare incredibile, visto che frequenta un liceo. “Ma i tempi di apprendimento, la capacità di concentrazione e i livelli di attenzione sono diversi da persona a persona e vanno rispettati”, sottolinea Calzone. Per alcuni alunni con disabilità anche l’autonomia o la gestione dei soldi è uno degli obiettivi da raggiungere a scuola: “Per questo all’interno dell’orario di lezione sono previste brevi uscite sul territorio, come al bar o in cartoleria, accompagnate da un educatore. Così come imparare ad andare in bici può essere l’obiettivo delle ore di educazione fisica”, interviene La Deda. Inoltre, “quest’anno vorremmo attivare un corso di arte-terapia e uno di musico-terapia che coinvolga soprattutto E., una studentessa con grave disabilità associata a problemi relazionali e di comportamento”. Per altri alunni servono invece strumenti più alternativi, come per esempio un vulcano in polistirolo – in grado di eruttare grazie al bicarbonato di sodio – costruito dal professore di scienze naturali, un sistema solare stampato in 3D appeso al soffitto, un orario delle lezioni con la foto dell’insegnante, il Cantico delle creature e il corpo umano riadattati in una sorta di libro collage fai-da-te, il classico pallottoliere. E anche quelli che possono sembrare dei semplici lavoretti, in realtà “rientrano nell’ottica dello sviluppo della motricità fine”.

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A Roma, invece, il liceo artistico “Enzo Rossi” ha puntato su laboratori fuori dall’aula e ora punta sul teatro integrato. L’istituto ha proposto ai propri alunni un programma di attività laboratoriali da affiancare al percorso formativo per permettere ai ragazzi con disabilità – che sono circa 70 su 900 studenti iscritti – di fare esperienze di gruppo in contesti diversi dall’aula. “La nostra è una scuola molto inclusiva, dove ogni diversità è fonte di ricchezza e confronto”, afferma il dirigente scolastico Danilo Vicca. “Non c’è pregiudizio o senso di avversione nei confronti delle differenze: che siano culturali, sessuali o religiose non importa. Il liceo ‘Rossi’ è una comunità dove si respira un clima di empatia, coesione e collaborazione. Da quando sono qui, non c’è mai stato un episodio in cui uno studente si sia sentito discriminato. E dove la diversità fosse percepita dall’alunno come un limite, la si potrebbe valicare attraverso l’aiuto e il sostegno dei compagni di classe”.

Nel 2020, durante il periodo del lockdown, il liceo artistico è riuscito a garantire l’attività didattica in presenza per i ragazzi con disabilità, dando vita al progetto “Giardini d’arte”. “Un progetto che ci ha permesso di riqualificare alcuni spazi della scuola, unendo lo sviluppo delle competenze di indirizzo con la dimensione del recupero ambientale e del patrimonio comune”, spiega Vicca. Gli studenti hanno realizzato una serie di installazioni, dei murales e un piccolo giardino zen. “Si sono dati molto da fare e hanno recuperato alcuni spazi di socialità che ora possiamo utilizzare per la didattica”. Durante i mesi estivi il progetto è continuato con i fondi del Piano estate 2021 elargiti dal ministero dell’Istruzione e gli studenti hanno collaborato insieme per la riqualifica del giardino esterno. “È un progetto didattico che prosegue all’infuori della vita scolastica: non si tratta solo di fare laboratorio, ma di apprendere nuove nozioni. E oltre a essere un progetto artistico è anche un progetto di educazione civica, ambientale e di sviluppo delle competenze trasversali, tra cui la gestione del tempo e dei problemi. È una dimensione attiva che permette una collaborazione tra gli alunni e che ha un risvolto molto importante: se lo studente partecipa alla costruzione di una scuola bella e inclusiva, diventa egli stesso più responsabile nel mantenerla tale”.

Parallelamente, l’istituto sta per avviare un altro progetto di inclusione scolastica: il “Teatro integrato”. I ragazzi collaboreranno alla scrittura di un’opera teatrale che, a fine anno, verrà portata in scena. “Gli alunni del corso di pittura e architettura prepareranno le scenografie, gli studenti dell’indirizzo di moda si occuperanno dei costumi, e tutti parteciperanno all’allestimento della pièce finale”, spiega il dirigente scolastico. La partecipazione a questi progetti è volontaria, ma è sempre alta. “Abbiamo dei riscontri molto positivi, soprattutto da parte dei ragazzi con disabilità. Da questi progetti nascono spesso dinamiche molto belle. I laboratori si svolgono il pomeriggio e i loro influssi si riscontrano al mattino sull’intera classe”. E in partenza quest’anno c’è anche il progetto “Ridisegnare Roma”, voluto per approfondire la conoscenza della storia dell’arte, offrire occasioni di socialità ed esperienze culturali di gruppo grazie a una visione dal vero. “Prevediamo di organizzare delle visite guidate in giro per la città, in modo che il territorio in cui viviamo diventi esso stesso scuola”, in un’ottica di educazione al bello e alla tutela del patrimonio artistico, museale e dei luoghi di culto.

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Ma “il punto di forza di quest’anno è che sin dal suo avvio sono state presenti quasi tutte le risorse professionali coinvolte nel processo di inclusione. Bisognerà analizzare le esigenze di ciascuno studente per verificare l’effettiva possibilità di sostenere il carico scolastico che deriva dalla presenza delle fasce orarie, in ingresso e in uscita, per via del covid. Ma si tratta di piccoli assestamenti, che riusciremo a gestire nell’interesse prioritario del benessere degli alunni. È anche molto apprezzabile l’invio, da parte del ministero, di mascherine trasparenti per tutelare gli studenti con deficit dell’udito. Queste mascherine che permettono la lettura labiale, fornite a tutta la classe e ai docenti, rappresentano un segnale di sensibilità e attenzione, un passo importante nel processo di inclusione”. Il liceo artistico “Rossi”, inoltre, mantiene alta l’attenzione anche verso la preparazione e la sensibilità dei suoi docenti. “La primavera scorsa, per esempio, la scuola ha avviato un corso di formazione sui disturbi dello spettro autistico rivolto agli insegnanti, realizzato in collaborazione con la madre di un nostro alunno che è anche presidente dell’Angsa Lazio (Associazione nazionale genitori di soggetti autistici). Il corso ci ha permesso di affinare gli strumenti sulla metodologia didattica in termini di autismo al fine di migliorare la qualità dell’insegnamento del nostro istituto”. Perché, in fondo, la mission di una scuola è pur sempre quella di formare. Guardando al futuro, per Vicca “dovremmo cercare di trovare soluzioni a partire da ciò che ci unisce. Il nostro mandato istituzionale, ma direi anche il nostro impegno etico come educatori, è quello di mettere al centro del discorso i nostri giovani, il loro diritto alla maturazione umana e culturale, alla formazione e allo sviluppo di conoscenze e competenze per una piena inclusione e realizzazione di sé. Basterebbe partire da qui”.

Come succede sempre, però, l’inizio dell’anno scolastico è spesso in salita per la maggior parte degli istituti. Oltre l’annullamento, a metà settembre, del nuovo Piano educativo individualizzato da parte del Tar del Lazio, che ha portato a un disorientamento generale in quanto molti istituti erano già pronti ad adottarlo, “il diritto all’inclusione scolastica dei circa 280 mila alunni con disabilità fatica sempre a venire garantito”, commenta Roberto Speziale. Per il presidente dell’Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettivo/relazionali) le maggiori criticità sono state il “ritardo nell’assegnazione degli insegnanti di sostegno da parte delle istituzioni scolastiche regionali, il ritardo nell’assegnazione degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione da parte degli enti locali, la carenza nell’organizzazione dei servizi di trasporto scolastico pubblico e la non tempestiva convocazione del gruppo per l’inclusione, con la conseguenza che non sempre è stata data la possibilità ai genitori di far valere le loro ragioni o di pervenire a soluzioni condivise”. Ma per fortuna esistono anche le “buone scuole”.

(L’inchiesta è tratta dal numero di novembre di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)

 

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